Evviva | Parimah Avani

Ismail significa “Dio ascolterà”. Ismail è un ragazzo afghano che sta insieme a Bianca, una ragazza italiana di Santo Stefano Belbo. Si sono conosciuti durante un viaggio verso il campo di Auschwitz. Siamo stati invitati a cena a casa sua. Tutti e quattro ci siamo ammalati e parliamo con voce rauca. La casa è troppo calda e ci sono due grandi tappeti orientali, uno dei quali si trova anche in cucina, come facevano le mie nonne molti anni fa. La tavola è coperta da una tovaglia bianca guarnita di pane, vino e una candela accesa. La casa è buia e dietro la tavola si vede una parete con una finestra aperta attraverso la quale entra la luce della strada.
Cominciamo a bere del vino, una bottiglia di Nebbiolo. Ci sono dei bei piatti sul tavolo e Bianca dice: «Ismail ha cucinato il khoresh, fa bene per il raffreddore!». Io guardo Ismail e gli dico: «Bravo! Gli hai anche insegnato a pronunciarlo bene». «Lei è brava», dice Ismail e ride timidamente.

Bianca conosce molte parole persiane, parla in modo elegante e scandisce ogni lettera quando la pronuncia, come volesse darle il giusto rispetto. Conosce il nome di alcuni insetti, di alcuni elementi della natura, come il fuoco e l’acqua, ma sa soprattutto i nomi delle cose che le permettono di vivere nel suo mondo, come farfalla, lumaca, coccinella. Bianca è un’antropologa che ha lasciato la letteratura per l’antropologia.

Prima di arrivare a cena, avevo letto la notizia di un giovane iraniano[1] che si è suicidato gettandosi nel Rodano a Lione per far sentire la sua voce al mondo occidentale contro un regime dittatoriale. Il ragazzo ha registrato le sue ultime parole sui social in due lingue: in persiano e in francese.
Prendo da Bianca uno Zerinol, dice che fa bene per il raffreddore. Nello stesso giorno avevo letto anche un’altra notizia: in Afghanistan hanno impedito alle donne di andare all’università. Continuiamo a bere lentamente, ma non parliamo di nessuna delle due notizie. Ismail non parla e ha sempre il calice in mano ed assaggia il vino con stanchezza. Invece, parliamo con Bianca di Cesare Pavese, anche lui era delle Langhe.

La cena è pronta, due grandi piatti di khoresht: cena iraniana, cena orientale, cena afghana, cena che mi fa sentire come a casa, cena dell’anima, cena calda e siamo qui insieme e siamo forti. Riso basmati bianco e khoresht di carne.

Ogni volta che Bianca ripete “khoresh”, Ismail mi guarda e i suoi occhi spenti si illuminano come stelle cadenti. Ora è il turno del Barbaresco. Abbiamo fuoco dentro il cuore. Da adesso in poi impareremo molte cose sulle Langhe, sulle vigne e sui vigneti. Vedo Ismail che ascolta con gli occhi affaticati. Bianca ci racconta con passione che la sua famiglia produce vini pregiati a Santo Stefano Belbo. Arya ascolta con interesse mentre Bianca spiega la differenza tra Nebbiolo e Barbaresco.
Vedo il fiume della città di Lione e sento le ultime parole di Mohammad, che si è suicidato: «So bene che i francesi sono gentili, le persone di Lione sono più ragionevoli. È giusto che la polizia rispetti la gente qui, ma fa schifo questa umiliazione della vita.»
Bianca spiega: «Il Barbaresco è prodotto con uve Nebbiolo coltivate esclusivamente nella zona del comune di Barbaresco. Il processo di vinificazione del Barbaresco richiede almeno due anni di invecchiamento, di cui uno in botti di rovere».
Nel video, dietro a Mohammad, c’è il fiume; il suo ultimo discorso comincia così: «Quando guarderete questo filmato, sarò morto, annegato in questo fiume che vedete dietro di me», e poi lo mostra con la mano.
Bianca spiega: «Il risultato finale è un vino complesso e strutturato, con un sapore intenso e tannico».
Mohammad ci guarda dal video e dice: «Questo non è un suicidio per problemi personali, è un gesto per attirare l’attenzione degli occidentali su ciò che sta accadendo in Iran».

Ismail riempie nuovamente il mio calice, e Bianca mi chiede se noti la differenza.
Poi, senza aspettare la mia risposta, continua: «Il Nebbiolo è un vino secco, tannico e di medio corpo, con sentori di frutta scura, fiori e spezie».

L’acqua è morbida e vellutata. Mohammad non trattiene la testa sopra la superficie dell’acqua, sapeva dire no, no all’umiliazione dell’uomo, no alla superficialità della vita, no alla superficie dell’acqua.
Bianca assaggia il vino e lo trattiene in bocca, poi dice: «Si fa così». Ci sono correnti forti.
Anche Mohammad ha la bocca piena, di acqua. Il Barbaresco è buono! Sono sicura che a Mohammad piacevano i vini francesi, simili alle sue parole, sobrie, amare e tanniche allo stesso tempo, allappanti per quella sensazione che ti lasciavano addosso e che non andava più via: «Non accetto questa umiliazione della vita».
Bianca continua a spiegare con delicatezza il mondo dei vitigni. Vedo il rosso di khoresh e il rosso di Barbaresco.
Quello che mangi ha un legame con quello che pensi, affermava Orwell. Khoresh è un piatto mediorientale nostro, è un piatto, è un patto; Ismail tossisce. Bianca continua, parlando di Barbaresco e Nebbiolo e del sole sulle colline. Siamo tutti sulla stessa barca, navigando sulla stessa rotta, rinchiusi dentro le bottiglie, ci muoviamo tra le onde rosse, il rosso del vino e il rosso del sangue, sulle colline, sulle strade dell’Afghanistan e dell’Iran.
È un po’ acido, un po’ amaro, ma per sentirlo devi berne un po’ e aspettare. È più un sentimento interiore. Le barche salgono sulle colline e noi spaesati saltiamo fuori dalla bottiglia, dall’incubo e gridiamo: «Evviva khoresh! Evviva la rivoluzione! Evviva la febbre e Evviva lo Zerinol!». Ismail tossisce forte, ma nessuno gli dà acqua; l’acqua è fredda.
Mohammad lo sente; è dicembre. Bianca continua a camminare sulle vette delle colline. Arya con una mano sotto il mento ascolta, fisso come una statua della Madonna. Ismail tossisce, sforzandosi di dire «Khoresh, khoresh! Non mangiate khoresh?» Ma Bianca non ripete, non lo pronuncia di nuovo. Diventa lei stessa un vitigno sulle colline.
Evviva l’amicizia! Ismail tossisce ancora e la bottiglia cade sul tavolo, versando vino rosso come il sangue delle strade. Evviva vivere in mondi diversi, strappati dal mondo, sputati fuori sanguinanti. Evviva la lumaca, evviva Pavese, evviva il deserto dei Tartari! E la pazienza!
Cade il calice di Ismail e si rompe come un cuore di cristallo. Ismail tossisce. Evviva l’ultimo aereo che sale nel cielo dell’Afghanistan e l’uomo che lo segue, corre e corre e rimane appesa alle ali. Siamo nella stessa barca che annega. Siamo a Torino che annega, che nega, che nega l’annegamento. Evviva Torino! Evviva il fiume! Evviva la fluidità!
Bianca sale in piedi sulla sedia e grida: «Evviva il Barbaresco!».
Ismail tossisce forte, senza pausa. Evviva il khoresh, evviva chi pronuncia khoresh correttamente, evviva la stella cadente, e la nostalgia, evviva essere al proprio posto, evviva la libertà, evviva la patria che ti abbraccia e piange con te come il fiume di Lione che ha pianto quando Mohammad ci è sprofondato dentro, annegato. Evviva Virginia Woolf, Evviva Samad Behrangi, evviva chi muore nell’acqua, nel sangue, nel vino, nel rosso, nella pura trasparenza dell’acqua, evviva Lampedusa, viva la lontananza per sentirsi vicini!

O khoresht, o carne del sacrificio, o caro vino Barbaresco, mostrami ciò che penso e che non riesco a proferire, mostrami con il sangue, mostrami con le cene prima di Natale e le cene prima di morire. Mostralo, o khoresht! Di questo calice ne faremo nuovo patto e altro non sarà se non il tuo sangue, sangue che è stato versato per noi.


Evviva il popolo di ogni colore, evviva i colori di ogni popolo, viva il sacrificio per un popolo che ti guarda, che ti apre le braccia e ti dice: mangia il khoresh, fa bene, è il cibo della tua casa, è il mio corpo, bevi il mio sangue, la tua patria è la mia carne, ma la carne sta annegando nel fiume. Beata la tua anima Mohammad! Beata la tua carne e il tuo coraggio.

In copertina, The revolution we will, Opera di Parimah Avani


[1] Mohammad Moradi, morto suicida il 26 Dicembre 2022 nel Rodano a Lione.