Il Bhutan Clan e Wu Ming 1 | C’è movimento in Cirenaica

Sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni Dal Basso è comparso un paio di mesi fa un progetto che ha al suo centro proprio il rapporto tra parola e musica: il Bhutan Clan, collettivo nato a Bologna diversi anni fa, in collaborazione con Wu Ming 1, oltre ad annunciare un primo album assieme dopo anni di collaborazioni in live, cercano una sede per Melològos, uno spazio dove poter proseguire le loro sperimentazioni, aprirsi a quanti più stimoli possano arrivare in quella direzione, raccogliere le strumentazioni adatte per produrre le loro visioni. Il progetto, che è ancora finanziabile per un mese, potrebbe dare quindi vita ad uno spazio unico nel suo genere, che potrebbe generare incroci ed energie inedite a Bologna, ramificandosi in tutta Italia. Mossi da sincero entusiasmo, ne abbiamo voluto parlare con Jadel Andreetto e Stefano D’Arcangelo del Bhutan Clan.

Ciao ragazzi! Dunque, per cominciare: il vostro progetto è nato e si è consolidato negli anni in seno a Resistenze in Cirenaica, un contesto multidisciplinare vivido e creativo. Come vi siete incontrati, e quali tappe avete attraversato per poi arrivare al progetto del primo Disco di Cirene?

Jadel Andreetto: Il Bhutan Clan è nato tra 2013 e 2014 a Bologna e, ironia della sorte, era una formazione esclusivamente strumentale. All’epoca eravamo in tre, basso (il sottoscritto), chitarra (Bruno Fiorini) e guitalele (Ricardo López Peliza). Io e Bruno facevamo parte anche del collettivo di scrittura : Kai Zen : e del neonato cantiere culturale bolognese Resistenze In Cirenaica e così quando è arrivato il momento di organizzare il primo evento targato RIC nel 2015, ci è venuto naturale unire le due cose preparando alcuni “reading sonorizzati” per raccontare le storie di resistenza al colonialismo e al nazifascismo legate al rione bolognese della Cirenaica. Come : Kai Zen : avevamo già avuto diverse esperienze pregresse quando tra 2007 e 2012 avevamo azzardato degli esperimenti sonori legati ai nostri romanzi La strategia dell’Ariete e Delta Blues, come del resto stavano facendo anche i Wu Ming. Nel frattempo la Compagnia Fantasma, che da molti anni sperimentava un ibrido tra reading, melologo e pièce teatrale, aveva lavorato con entrambi i collettivi e aveva in canna alcuni spettacoli per RIC.  Il Bhutan Clan è diventato la “resident band” del cantiere e ha ampliato le collaborazioni; Stefano D’Arcangelo della Compagnia Fantasma si è unito in pianta stabile all’ensemble in veste di tastierista e il Clan ha cominciato a crescere, dapprima accogliendo un percussionista, poi provando con diversi batteristi fino a reclutare Michele Koukoussis dei Travellers. Tra 2017 e 2018 abbiamo perso per strada il guitalelista, ma le collaborazioni si sono moltiplicate e il Bhutan Clan ha incrociato la sua strada con diversi musicisti e scrittori tra cui Wu Ming 1 e Wu Ming 2. Con il primo in particolare, abbiamo continuato a lavorare sulle tematiche care a Ric e a comporre delle “suite” da interpolare ai suoi lavori solisti come Un viaggio che non promettiamo breve e La macchina del vento. È stato proprio questo lavoro intenso e intensivo che ci ha portati a ragionare sulla forma musicale del melologo, su come rivisitarla e trasformarla in un’ascia di guerra. 

Il vostro crowdfunding, però, non si ferma alla sola realizzazione del disco e si spinge fino al desiderio di creare Melologos, uno spazio a Bologna dedicato alla sperimentazione e alla ricerca delle potenzialità dell’incrocio tra parola recitata e musica, terreno da cui partire per altre creazioni e nuovi incontri, con l’intenzione di accogliere quanti siano interessati e offrire loro spazi e mezzi adatti. Come avete immaginato questo spazio, avete già degli esempi circa ciò che succederà al suo interno e le realtà artistiche che coinvolgerete?

Stefano D’Arcangelo: Il passo successivo al disco è sempre stato in essere, la normale conseguenza della nostra ricerca e del modo in cui la compiamo. Negli anni ci siamo cimentati in podcast, radiodrammi e altri formati e ci sembrava il momento di portare queste esperienze sotto un unico tetto. L’idea è di prenderci un posto, comprare le attrezzature da metterci dentro, fondare un vero e proprio laboratorio permanente con l’aggiunta di sala prove e ambienti adatti a riunioni, workshop, seminari, incontri con musicisti, scrittori, rapper, poeti, ingegneri del suono oltre a piccole esibizioni dal vivo, ascolti collettivi di percorsi fonoautoriali, eccetera. Un luogo nostro dove continuare con le nostre sperimentazioni ma anche aperto ad altri singoli e gruppi. In tutto questo abbiamo già incontrato o rincontrato compagne e compagni di strada a cui abbiamo già proposto di tenere workshop, seminari, incontri nel nuovo laboratorio di fonologia narrativa e che hanno dato subito la loro disponibilità. Loredana Lipperini – in veste di musicologa, quale ella effettivamente sarebbe ed è – Filo Sottile (come si diventa una punkastorie), Luca Casarotti (feat. WM1, tecniche della lettura su musica improvvisata e dell’improvvisazione musicale in interazione con la lettura di un testo), Lello Voce (musica interna della poesia, come farla sentire mentre si legge poesia su musica), Militant A (il ritmo, la parola, l’ascoltarsi… l’acufene).

Come riprende anche il nome dello spazio che nascerà, la definizione circa l’approccio al microfono di Wu Ming 1 che date è quella di un melologo (direttamente dal XVIII secolo) riattualizzato, e con una dose di attitudine punk. In che modo ha luogo questa attualizzazione, e come le diverse parti del collettivo hanno contribuito alla ricerca, arrivando da diversi linguaggi tra cui il teatro, la musica e la scrittura?

Stefano D’Arcangelo: Alla base c’è la “relazione”, il cortocircuito, scintilla dinamica ma anche oggetto di ricerca. Ci è sempre interessato affiancare e far entrare in contatto esperienze, linguaggi, suoni di diversa natura. Quello che sta accadendo nella nostra esperienza non è nient’altro che la conseguenza di questa spiccata deformazione che tutti noi abbiamo. Non è mai stato un “pur venendo da esperienze diverse”, “pur accostando linguaggi diversi” ma un “siccome” il punto della nostra ricerca. La conseguenza naturale è stata che alcune collaborazioni fossero già in atto da anni: : Kai Zen : e Wu Ming, la Compagnia Fantasma e i suoi lavori teatrali tratti dai loro libri la collaborazione musicale tra me e Giroweedz, l’esperienza di Michele come batterista in molte di queste esperienze comuni, il background performativo di Jadel e Bruno, effettivi fondatori del Bhutan Clan. Le strade si erano già intersecate in molte esperienze comuni che nel corso degli anni ci avevano già messo praticamente uno accanto all’altro. Dare un nome alla nostra ricerca comune, definire il perimetro di queste pratiche e metterci dentro il nostro taglio personale è stato il processo conseguente a un qualcosa che era già: “un pensiero estetico ingenuo. Proprio come il punk.”

La volontà di incidere questo disco segue un’esperienza lunga anni di sperimentazioni dal vivo, e nella stessa presentazione del progetto parlate dell’album come un supporto su cui “catturare l’irruenza e la passione del live”. Come considerate l’esperienza del concerto, specie parlando di un genere come il vostro e con una scelta di testi che pone l’accento sulla necessità di divulgazione?

Jadel Andreetto: Il live è l’acqua in cui nuotiamo ed è pure parecchio agitata. Sembra paradossale, ma non lo è. Di solito i reading richiedono una soglia di concentrazione da parte dell’ascoltatore diversa da quella di un “normale” concerto, i nostri però non sono reading intesi in senso classico. La voce narrante non viene semplicemente accompagnata da un tappeto sonoro, interagisce con i musicisti e con l’andamento delle composizioni. I testi vengono ri-scritti ed elaborati per dialogare con i suoni, la voce non si limita a leggere o a recitare, ma è a sua volta uno strumento. Le storie sono al centro della nostra poetica, come lo è il nostro modo di raccontarle. Un crescendo, un’improvvisazione, un giro di basso, un assolo di batteria, un riff di chitarra o di synth – la stessa presenza scenica – possono, al momento giusto, essere pattern narrativi.

L’esistenza di una “stanza tutta per voi”, con gli spazi e i mezzi adatti alle necessità, è proposta in uno dei testi pubblicati su Giap a contorno di questo crowdfunding anche come atto di resistenza – e questo indipendentemente dalle tematiche del disco, ma riferendosi proprio alla preziosità di un luogo dove creare cultura “altra”, influenzandosi a vicenda e creando movimento. Progetti come il vostro stesso collettivo non sarebbero nati senza una spinta di questo tipo. Quali pensate siano le forme di questa resistenza, quali i fiori che ne potrebbero fiorire?

Jadel Andreetto: Più che una stanza tutta per noi, direi molte stanze per tante persone. Il laboratorio che abbiamo in mente ha bisogno di diversi spazi: sale prove, cabine di regia, aule didattiche, studi di registrazione, uno spazio per i live… È un progetto ambizioso e di sicuro stiamo peccando di hỳbris, ma ai tempi dell’incubo, vale la pena sognare, non sarà certo una punizione divina a impedirci di farlo.

Stefano D’Arcangelo: Resistere, come abbiamo spiegato presentando il nostro crowdfounding, per noi significa “adattarsi il meno possibile, farsi dominare il meno possibile, coltivare un frattempo per pensare al contrattacco.”  Il nostro frattempo è passato continuando a incontrarci, scrivere, suonare e produrre anche in tempi di chiusure estreme. Atto di resistenza come si spiegava, non di resilienza. Escogitare un piano, non rinunciare all’incontro. Umano, di linguaggi, di portati e strade personali da far reagire con gli altri componenti. E il piano sarebbe stato chiaro: inaugurare una nuova fase di ricerca. Ma prima sarebbe stato importante fare un punto, incidere e dare forma a tutto quello che avevamo prodotto assieme ed eseguito dal vivo dal 2015. Il disco quindi, e una serie di registrazioni dei nostri lavori su La macchina del vento e tutto il repertorio sonico-letterario che ci accompagna nel nostro essere (non a caso) la resident-band del progetto RIC. Fatto il disco, il passo successivo: espandere la nostra ricerca. Può sembrare fuori luogo aprire una campagna per incidere un disco e fondare un laboratorio di sperimentazione musico-letteraria nel bel mezzo di una pandemia: giorni di paura, insofferenza, annunci di nuove restrizioni… A noi, al contrario, è sembrato perfettamente in luogo. Perché è sempre qui e adesso che bisogna resistere. E resistenza, per noi, è anche fare cultura altra. Curare un immaginario altro. Incitare pensieri altri. È quello che facciamo e che continueremo a fare.

Concludiamo questa intervista con uno sguardo alla situazione attuale del crowdfunding, che al momento si attesta vagamente a metà della cifra da raggiungere con la scadenza a circa un mese. Come è stata, finora, questa esperienza di raccolta fondi? Nel caso le cose non andassero come auspicato, come vi muoverete?

Jadel Andreetto: Di questi tempi avviare un crowdfunding è un azzardo. Gli ultimi due anni hanno lasciato il segno. Non tutti hanno la voglia, o la possibilità, di sostenere una raccolta per un progetto del genere. La parola stessa progetto sembra in dissonanza con lo Zeitgeist, proiettare in avanti in un presente dilatato allo stremo è come trovarsi sull’orlo di un buco nero: il tempo è prossimo all’immobilità e guardare oltre l’orizzonte degli eventi sembra impossibile. Eppure… Eppure in molti hanno fatto questo salto nel buio e ci hanno appoggiato e sostenuto con donazioni di varia entità, un atto di coraggio che in un altro momento sarebbe stato un “semplice” atto di generosità. Abbiamo puntato in alto, ma non c’era altro modo, le cifre parlano chiaro. Registrare un disco e avviare uno spazio di condivisione dei saperi ha dei costi materiali che non si possono evitare e dovevamo provarci, se poi non ce la faremo, continueremo a fare di tutto per suonare live, organizzare incontri, workshop, condividere pratiche e conoscenze ripensando l’intero progetto… Per dirla con Beckett: “abbiamo provato, abbiamo fallito. Non importa, riproveremo. Falliremo meglio.” Sarà un percorso tortuoso, ma siamo abituati a scarpinare in salita… Sapere che là fuori ci sono altre persone che hanno voglia di ri-mettersi in gioco, di tornare a fare e a respirare, per noi è la ricompensa più grande.

Parole e musica di Wu Ming 1 e Bhutan Clan


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