E bevo tutta la notte al Motel
con la malattia di Otello, cacciato
da una casa o un’altra della Barriera
di Milano, dormo con il giaccone
allacciato e qualche foglio in mano.
È mia la carriera di trasgressione,
onestamente da te così altra,
lasciata lì a marcire sul comodino?
Quel che è laido per me ti appare puro
e ialino, o perlomeno normale.
La mia purezza ti dà noia.
Ci guardiamo con occhi di animale
e con voglie da boia, ci distingue,
come confrontando tra due diverse
foglie nelle mani, un’altra razza.
Ma il cane magro che sguazzava ieri
sbattendo con la testa fra i bidoni
pieni di organico e la cresta alzata
ti ha scoperta tra i doni della strada a
sgusciare impazzita da una frattaglia
decomposta, con cinque grasse blatte.
*
Vomitavo sporco e contento
a qualche metro di salita
dal centro sociale Asilo
squat di Torino, cittadino epilogo.
Nella cripta il pogo violento
di poco prima aveva acceso
insieme con la mescalita
alternative voglie alla smentita
altra voglia: normalità.
Dopo il concerto, fu un esodo;
ma io sentivo l’amarulento
aroma emetico, cozzai lo stentore
marciapiede dell’abitato,
nel vomitato rotolai.
Com’ero a capire sorpreso
chi ero solo adesso, lì disteso.