L’equilibrio che Matteo Di Genova e Marco Crivelli sfidano, nel loro progetto performativo Diossido di Cromo, è di una esattezza micidiale, netta, minacciosa e sorprendente: voce nuda e percussioni, parole dirette che tradiscono un’attitudine che pesca energia e tecniche anche dal rap e colpi, pulsazioni e suoni senza elaborazione elettronica, crudi.
Il percorso è volto a svelare fino allo scheletro il rapporto tra poesia orale e ritmo, non solo legato ad elementi come metrica e sonorità, ma ancora più profondamente radicato in quei ritmi di interpretazione, spesso compresenti ed allacciati in poliritmie che già Stanislavskij presentava nel suo “Il lavoro dell’attore su sè stesso” come una delle chiavi per arrivare a comporre un tessuto emozionale su cui far maturare il significato emotivo del testo.
Non casualmente, è proprio con un tema presentato come netto, esatto, preciso e diretto che il duo si confronta nel loro singolo, Karma, che si concentra proprio sul causa-effetto intercorrelato delle proprie azioni, dipinto nel testo di Di Genova come “così evidente” da stupire, spaventare e far pensare di essere protagonisti di una candid camera. Così prosegue il brano, in una partitura in cui persino i silenzi hanno un definito ruolo ritmico, fino all’immagine chiarificata di una festa di fine anno, ballando sotto acidi o accucciandosi sui divani, come cornice per la grande ricapitolazione delle azioni compiute e di come il karma – di cui l’ultimo verso ci svela la sua natura secondo lautore – le abbia con precisione ripagate.
Il progetto, nella natura che propone, ha una chiara impronta live (live nei quali già da molto tempo Karma compariva in scaletta), sia per la forma poetica proposta da Matteo Di Genova, forte di una teatralità travolgente e di testi che gli permettono di aprire un dialogo diretto col pubblico, sia per le scelte sonore di Marco Crivelli, che con un lavoro di una equilibrata semplicità (nonostante l’impiego massivo di strumentazione) propone un controcanto, spesso semplicemente a sottolineare specifici punti del testo ma che più volte si apre in ambientazione vera e propria, giungla di timbri che prende il sopravvento nella parte finale del brano, e che in ogni caso gioca come punto più forte la carta della performatività.
La difficilissima arte di andare a tempo, nei due, è affinata al punto da farli mutare nelle orecchie in un corpo unico, e per apprezzare un equilibrio di questo genere è necessario poter osservare questo processo mentre accade, senza che le mille possibilità di editing in studio possano mediare lo stupore della precisione di esecuzione dal vivo di questi brani. Sotto questa luce, è buffo pensare alla genesi del nome del duo, il cui nome è quello del materiale con cui si realizzavano i nastri delle audiocassette, riferendosi quindi al tessuto che è alla base dell’esperienza d’ascolto: ritmo e messaggio, le molecole fondamentali.
(Isidoro Concas)
Karma
Il karma è così evidente
che si potrebbe tagliare
con una spada
di Damocle.
Il karma è così evidente
che ti spaventi
e cerchi le telecamere
“ok,
va bene.
venite fuori
dove siete
me l’avete proprio fatta
me l’avete proprio data a bere”
ma non c’è nessuno
dietro le tende.
Il karma è così evidente
che lo potresti invitare a cena
dagli da bere
offrirgli una media
e fargli pena
tutta la sera
come fosse niente
e non servirebbe
fare i vaghi se si pesta un piede
fare i pirla
fare il vento
se c’è ancora due pilsner
essendo al verde
non serve
nascondersi sotto il tavolo
e non abbiamo favole per dormire
per quello c’è il Tavor
e per restare svegli abbiamo
tutti i “no ma me lo merito, me lo merito tutto” che vogliamo
tutti i “mi merito tutto questo capitolare di fine anno”
mentre ci ricapitoliamo e ci raggomitoliamo sui divani
accanto al focolare e lontano dai focolai
lontano
dall’ordine del discorso foucaultiano
sfuggiamo
rispolveriamo vecchie leggende esoteriche
sfoggiamo tutte le parole esotiche del caso
mangiamo l’acido
balliamo scalzi
per non dimenticarci del fatto
che soffriamo
perché siamo lo specchio degli altri
