Addict Ameba è una balena errante
si oppone alla deriva dei continenti
nuota oceani, capta suoni dalle coste
dalle bande sulle crociere, dalle radio
poi li mixa e li canta di nuovo mentre
vanno a fondo cantano, ballano
amano chi è all’ultima spiaggia
e ci prende il sole.
Pangea: grande massa continentale che alla fine del Paleozoico si estendeva sulla superficie terrestre, alla sua frantumazione si deve l’origine dell’attuale configurazione dei continenti e bacini oceanici. Può esistere una Pangea sonora? Secondo gli Addict Ameba, nome non solo di una band ma di una famiglia sonora nata nel 2017 nel quartiere milanese di Casoretto, questo è possibile, tanto che ne fanno il loro obiettivo a lungo termine.
Poche cose al giorno d’oggi uniscono come la musica: assistendo ad un concerto siamo tutti uguali, la musica da la possibilità di viaggiare senza partire ad ognuno in egual modo. Questo lo sa bene il collettivo Addict Ameba, il quale si serve della musica per superare i confini sonori ma anche geopolitici unendo in una sola realtà diverse anime provenienti da varie parti del mondo. La forza del progetto risiede nelle radici differenti dei dieci componenti, a queste si aggiungono degli arrangiamenti originali ed eclettici. Il primo frutto degli Addict Ameba è l’album Panamor, uscito il 10 luglio per Black Sweat Record, nel quale avviene l’unione profonda esseri viventi e oggetti. Ascoltare il disco equivale a fare un viaggio nel Sud del mondo, ogni strumento disegna la rotta per un luogo differente. La chitarra ci trasporta dal latin rock al funky e ai ritmi tuareg, i fiati profumano di ethio-jazz e salsa cubana nonché di calypso ed essenze sonore caraibiche. L’ascolto di Panamor ti cattura, ti fa ballare e non ti annoia mai. Nel disco c’è spazio anche per la poesia, nel brano Panorama possiamo ascoltare insieme ai ritmi suadenti dei versi che rappresentano il manifesto del progetto. Addict Ameba non è solo musica ma anche coscienza politica, lo si sente in ogni brano del disco ma anche nel nome del gruppo che richiama volutamente la capitale etiope e tutto quello che di tragico e sprezzante si porta dietro “l’esperienza” italiana in quel suolo.
Per entrare meglio nel mondo del collettivo e conoscere gli sviluppi futuri abbiamo fatto una chiacchierata con Paolo Cerruto, uno dei componenti.
Dalla strada allo studio di registrazione, come è avvenuto questo passaggio?
Dopo i primi concerti autoprodotti abbiamo conosciuto il Lorenz nella sua sala prove e studio, ovvero il magico Guscio, nel quartiere Casoretto di Milano. Con lui abbiamo composto nuovi pezzi e conosciuto il Dome della Black Sweat Records, etichetta che è garanzia di ricerca sonora e sperimentazione. Da questa scintilla è nata il progetto del disco, uscito il 10 luglio in vinile e digitale.
Il vostro disco Panamor, ci porta in viaggio in vari Sud del mondo e lo fa con allegria e ritmi ammalianti. Quale storia vuole raccontarci?
Nessuna in particolare, o forse molte ma insignificanti. Semplicemente quella di un gruppo di amici che ha deciso di suonare al di fuori della gabbia mentale del “genere”. A livello storico invece ci teniamo a contribuire al dibattito sulla necessità di decolonizzare il presente e il passato italiano. Ancora in troppi minimizzano il ruolo colonialista durante il fascismo e il razzismo istituzionale e sociale nostrano, spesso ridimensionato anche da insospettabili pensatori di “sinistra”. Dobbiamo renderci consapevoli del privilegio che contraddistingue chi, ad esempio, è nato in Italia con una cittadinanza e fare di tutto per migliorare le condizioni di chi vive e lavora in questo paese in situazioni di illegalità o discriminazione.
Panorama con una poesia ci descrive la vostra essenza, perché affidate il messaggio allo spoken word?
Ho deciso di inserire un testo “parlato” perché spesso durante i concerti inizio a fare freestyle. Ho iniziato con un gruppo di amici, i Masterfreesta, quasi per gioco. Dopo un po’ mi sono reso conto che improvvisare è un esercizio notevole, sia per l’elasticità mentale che poi per la scrittura, perché permette di andare oltre le strutture di frasi e linguaggio. Stavolta ho voluto scrivere una sorta di manifesto che possa orientare l’ascoltatore all’interno di un progetto così eterogeneo. Nulla più della parola con musica è in grado di lanciare un messaggio di cambiamento.
Giungla urbana, afrolatinbeat e città amara. Quale futuro per questi tre “soggetti”?
La giungla è in città, e purtroppo le città stanno distruggendo le giungle. Occorre un nuovo equilibrio tra uomo e natura. L’afrolatinbeat è un genere che abbiamo coniato per questo primo lavoro, non è detto che sopravviva al secondo disco. “Quel che non cambia è la voglia di cambiare”. Quanto alla città amara, Milano, nonostante resti la capitale mondiale della ‘ndrangheta, sembra in un momento di passaggio cruciale. Finalmente è crollata la narrazione tossica che la rendeva una città vetrina, ostaggio di turisti frettolosi e di speculatori immobiliari, sorretti da un ufficio stampa diffuso che conta anche numerosi milanesi, oltre a Beppe Sola. Speriamo in una presa di consapevolezza dei milanesi, che possano difendere luoghi storici sotto sgombero, come cascina Torchiera o il Lambretta, e chiedano un vero cambio di rotta in termini di mobilità, aree verdi e mercato immobiliare. “Non puoi cambiare il mondo ma in fondo, cambi tu e cambia un pezzo di mondo”, canta Baco Krisi, amico e rapper di Milano. L’invito è a resistere, come urlava Alberto Dubito.
(Federica Monello)
Panorama
Addict Ameba nuova scena
un raggio di luce distruggerà questa commedia
questa inedia, il va tutto bene,
nema problema
suona l’ameba dipendente
nella città amara
la nostra giungla urbana, con la groove armada
trovare nel cemento pachamama
ma il senso non si stana
la storia è sempre vana
strofe per catastrofi e per la razza umana
vagabondi siamo andiamo per il mondo
suonando strumenti anziché il clacson
balliamo l’ultimo tango
come marlon
passa l’alcool e l’accendino
vieni vicino
apri il cuore fino a farlo scoppiare in cielo
nessuno è come nessuno
ogni amore è una sberla
duemilaventi e siamo ancora in guerra
il sole brucia insieme al pianeta terra
cerca la pace dopo la tempesta
il panamor è nella tua testa
non credere al loro paradiso
il panorama è per chi resta e diserta