L’insetto nella pancia

Ho una formica impazzita nella pancia, una scheggia, su e giù da mattina a sera senza darmi pace. L’ho detto a Umberto e lui ha risposto:
– Ma va’! È tutta una fissa – e mentre lo diceva, guardava con aria da lupo le cosce di una donna seduta al bar Centrale. Gli sono sempre piaciute le bionde dalla pelle chiarissima e, quando ne incrocia una, non si capisce più niente. Ma non è di Umberto che scriverò, né del suo intercalare – fissa – che usa in maniera impropria fin dal liceo.
Dopo il bìtter e vodka delle 18:40 prendo la linea 1 diretto al mio quartiere. Uscito dalla metro, compro al “Flor do cafè” una confezione di tre bottiglie da 33 cl più una sfusa e, arrivato in casa, metto a cuocere le costolette in padella coi peperoni avanzati da mezzogiorno, poi accendo la tivù. Dò un’occhiata alla stanza, al pupazzo John e piglio a fare zapping correndo dietro ai canali del digitale terrestre.

Ho una formica impazzita nella pancia, una scheggia, su e giù da mattina a sera senza darmi pace.

La sveglia suona alle 6:00. Non appena in piedi, vado al cesso a pisciare e mi butto sotto la doccia. Il getto d’acqua è bollente, gli occhi sono chiusi… Finché il mio vicino Skùnz non riparte con la sua lagna: ha preso la bronchite e bestemmia la Madonna. Il suo vero nome è Antonio e, per qualche ragione a me ignota, tutti lo chiamano Skùnz. Gli si è rotta la macchina, una scassatissima Ford Fiesta del ’99.
– Non la riconosco più, sulla tangenziale andava a strappi. Stamattina se non la finisce devo portarla dal meccanico… ed è caro! – grida dalla finestra, mentre raccolgo le mutande asciutte sul balcone. 
Skùnz va in giro in vestaglia, Nike ai piedi forse numero 41, un peruviano mimetico stretto in testa e puzza da vomitare.  Così gli faccio ciaociao aprendo e chiudendo la mano, col volto girato pur di non sentire. 

Torniamo però alla sveglia delle 6:00. Apro un libro a caso e leggo una pagina o due, Storia della mia calvizie, un regalo di Umberto. Lo scrittore è Marek Van Der Jagat, pseudonimo di Arnon Grunberg, l’autore di Lunedì blu. La storia è: Marek, un adolescente bello e colto, alla ricerca del proprio posto nel mondo, spera di diventare un gran poeta, scrivendo versi alla Paul Celan e sogna l’amour fou. Stando alla quarta di copertina, «un destino beffardo l’ha reso calvo precocemente e l’ha dotato di un pene ridicolo, di dimensioni insignificanti che suscitano l’ilarità di due belle turiste lussemburghesi. Ne deriva un tentativo di ridimensionarsi al nano che sente di essere». 
Ho iniziato a leggere il libro la sera stessa e dopo dieci pagine sono arrivato alla conclusione che aveva un pessimo ritmo. L’ho chiuso e ho lasciato perdere.
Proprio Storia della mia calvizie doveva scegliere? Di certo c’è di mezzo il libraio. Conosco il posto dove l’ha comprato e conosco i modi di quel ragazzo col baffo arricciato. Uno di quelli che ti viene incontro in cerca del padrone e con la scusa del libraio amico se non stai attento ti ritrovi un ricettario nello zaino.
Mentre mi vesto mi torna in mente la faccia a oblò di Gianni, l’amico mio e di Umberto. Dall’appartamento di Skùnz si sente un boato accompagnato da una bestemmia stratosferica. Lì ricordo di avere un appuntamento con Gianni. Cazzo, sono in ritardo.     

Uno di quelli che ti viene incontro in cerca del padrone e con la scusa del libraio amico se non stai attento ti ritrovi un ricettario nello zaino.

Al bar ordino un caffè corretto all’anice e una brioche. Devo chiamarlo cornetto e non brioche. Silvia, la cassiera, ha un muso lungo da intristire un gruppo di clown.
– È questo vento, sai… il cielo nero… – dice con lo sguardo basso, rivolgendosi al collega.
– Oppure hai un insetto strafatto di crack nello stomaco – le rispondo, fissandola negli occhi.
– Come?
– Non hai mai sentito parlare della formica? 
– Ora non c’ho tempo. Domani mi spieghi meglio. Ok?           
Prendo lo scontrino ed esco. 
Il vento forte alza nubi di polvere amara. La linea 1 passa fra quattro minuti, la folla si vede dalla rampa delle scale e gli unici a sprizzare gioia sono tre bimbominkia e due venditori porta a porta Folletto. Il resto dei pendolari ha le borse sotto gli occhi e un’aria assonnata, ognuno perso sul proprio smartphone. Un ratto di 230 g saltella sugli ultimi scalini, dribbla una donna in tailleur e si fionda in mezzo ai binari. Allo stesso momento un uomo cerca di parlare al distributore automatico, spera che gli regali un pacco di Baiocchi e una giovane donna secchissima grida al suo compagno di voler morire ora. Le guardo le pupille e ci vedo due profondi buchi neri. L’arrivo della metro ci spinge tutti verso un’unica direzione. La formica risente del brusìo e si avvinghia all’altezza dell’ombelico, un colpo sinistro piega gli addominali e stringe fortissimo.
“Maledetta! Fatti vedere!”. La sfido e quella manco per il cazzo, continua indisturbata il suo movimento. Passo tra la folla, mi appoggio a un palo e ricordo una vecchia lezione di teatro al Senzanome. 
– Mettete la gamba destra in avanti e non vi stende neppure Mike Tyson – ripeteva il maestro.

Teme gli ascensori, i tunnel, i cavalcavia e la metro. Pure i risciò.

Attraversiamo piano la via, Gianni si aggrappa al mio avambraccio e mi vien voglia di staccargli le dita una a una.
– Possibile? È un anno che stai sdraiato sul sofà di quel… Come si chiama? – gli chiedo dopo otto passi e mezzo.
– Sigfrido.
– Non ci credo. Sigfrido.
– Lascia stare…
– Quanto lo paghi?
– Dai…
– Dì!
– Novanta euro a seduta. Ma non sto sdraiato sul sofà.
– Novanta euro e non ti stendi? Con questi soldi potremmo trovare attrattive migliori.
– Ah. Dimmi di te, piuttosto.
– Nulla, a parte il ritorno dell’insetto!
– Sul serio?
– Eh…
– E il tuo psicologo che dice?
– Che è tutto a posto. Lunedì ha calcolato il tema natale, ho una luna non so dove. Una casa… boh.
– Ma è Cristiano?
– No, quello ha lasciato moglie e figli, vive in Groenlandia e dà la caccia alle foche. Questo è nuovo.
– Dove l’hai trovato?
– Al Cioccovillage di novembre. Voleva offrimi un gianduiotto, una cosa tira l’altra e mi sono ritrovato il suo biglietto da visita tra le mani.
– Grande!
– Già.

Scendo a “Università”, l’aria sa di nafta e carbone bruciato. Gianni è dall’altro lato della strada e aspetta, lontano dalle auto, dai bus e da qualsiasi altro veicolo. Teme di essere investito. Teme gli ascensori, i tunnel, i cavalcavia e la metro. Pure i risciò.
È stato lasciato dalla fidanzata Marica e sta male. Gianni ha trent’anni, disoccupato, laureato in giurisprudenza, tifoso dell’Inter, profilo Facebook senza foto. Ci salutiamo, ha quella sua mano sudata che a me fa assai schifo. 

– Dove l’hai trovato?
– Al Cioccovillage di novembre. Voleva offrimi un gianduiotto, una cosa tira l’altra e mi sono ritrovato il suo biglietto da visita tra le mani.

– Qual è il tuo ascendente? – chiede curioso.
– Leone.
– Marica era Leone, te l’ho mai detto? –dice, euforico.
– No, l’avevi tralasciato, Gianni. Però evitiamo di parlare ancora di Marica.
– Non mi sopporti.
– Cosa c’entra!
– Puoi dirmelo. Non mi importa del parere degli altri. Solo di Marica!
– Ma come?
– Stanotte ho rifatto lo stesso sogno! – stringe i pugni.
– Quello dell’orgia?
– Sì! E c’era uno nuovo.
– Chi?
– Un nano! Un nano di merda dal pene gigante.
– Guarda le coincidenze! – mi piglia una risata che lo innervosisce.
– Hai fatto lo stesso sogno anche tu? O sai qualcosa su Marica?
– Macché…
– Rispondi!
– Leggevo un libro questa mattina, niente di importante. Dobbiamo attraversare.
Mi fermo all’altezza delle strisce pedonali. Lui no, prosegue diritto uguale a una locomotiva bendata.
– Gianni!
– Vado di là, che vuoi?
– Ricominci…
– Non posso, proprio non posso.
– Fermati.
Lo tiro a me e torniamo indietro.
– E io che pensavo di averti ritrovato meno pallido del solito.
– Sì, ho fatto una lampada a metà.
– Da quando ti fai le lampade, Gianni?
– A Marica piacciono…
– Santoddio! Attraversiamo, è verde.
– Ti ho detto che non posso.
Non c’è nulla da fare, si abbraccia al palo del semaforo. A guardarlo sembra un polpo avvinghiato alla preda.
– Di cosa hai paura? – gli dico.
– Tu sai storie di Marica che non vuoi dirmi… – sostiene, furibondo.
– Cosa stai dicendo?
– Sì, sei un infame.
– Ahhh! Porca troiaaaa! – grido piegandomi su me stesso.
– Non ti senti bene? Cos’hai? – chiede lui, apprensivo.
– È l’insetto! Si sta di nuovo ribellando.

– Non ti senti bene? Cos’hai?  – chiede lui, apprensivo.
– È l’insetto! Si sta di nuovo ribellando.

– Scusa, è colpa mia, sto facendo casino.
– Ah, smettila e attraversiamo.
– Non trattarmi male…
– Su, faremo tardi!
– Nooo! Non posso, ti ho detto! Non nascete!
– Hai fatto scattare il rosso!
– ‘Fanculo l’incontro. Dove sta Marica?
Non so che dirgli e resto zitto. Inizia a prendere a testate una cabina telefonica ansimando rosso in faccia uguale a un peperone. Fino a farsi un taglio sulla fronte. Evito di fargli spaccare la testa.
– Non lo so dov’è. Però ci aspettano, ricordi? – lui piange e ansima, rosso in faccia.
– Lei ti ha lasciato per Andrea. Lo sai tu e lo so io. Ora calmati e andiamo, è verde. Ne guadagneresti pure con le donne. Ricordi Sara? La zoppa è single!
Respira piano.
– Se vuoi possiamo organizzare.
– Non nascete!
– Gianni, smettila di dire “non nascete”!
– Ora!
– Gianni, è rosso!

Fotografia di Jun Togawa

Figli del complotto

C’è stato un giorno in cui hai appioppato la spiegazione più irrazionale ai fatti della tua vita. È quello che fanno gli autori del fantastico: non si sono accontentati che gli eventi della narrazione affondassero in un mare logico. Infatti, il fantastico applica i fatti alle teorie.
Se si allarga ulteriormente il cerchio di questo movimento, c’è poi una forma narrativa che, a seguito degli aventi più traumatici della nostra storia, ha agito in questa determinata maniera: le teorie complottiste. E se qualcuno può storcere il naso a questa affermazione, non deve considerare la questione dal punto di vista prettamente politico, bensì dall’angolatura della narrazione.

Il complottismo ha proposto più di tante altre forme una narrazione pilotata. Anche il reality show, ad esempio, adotta alcune strutture simili: un gruppo di persone famose si ritrova sopra un’isola deserta e dovranno superare delle prove per sopravvivere. Milioni di spettatori votano da casa i loro protagonisti preferiti, con il dubbio che tutto quello che stia avvenendo sia pilotato dall’istinto umano o ci sia un copione che i vip devono seguire (uragani tropicali compresi). Tutto molto distopico. Se non fosse che lo trasmette la TV in prima serata e i protagonisti sono spesso scadenti, le nostre papille intellettive ne sarebbero attratte, del resto chi non hai mai guardato almeno una puntata dell’Isola dei famosi?
I reality show oramai sono cosa vecchia, ma le teorie del complotto rimangono vive a distanza di decenni. Il motivo è che queste ultime fanno leva sul cono d’ombra della realtà che tanto interessa agli autori del fantastico.

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I reality show oramai sono cosa vecchia, ma le teorie del complotto rimangono vive a distanza di decenni. Il motivo è che queste ultime fanno leva sul cono d’ombra della realtà che tanto interessa agli autori del fantastico.

Il volto del diavolo che compare nella nuvola di fumo della torre del World Trade Center in seguito all’attentato dell’11 settembre 2001, oltre ad essere la mia teoria preferita, è una foto scattata dal fotoreporter Mark D. Phillips (come dichiarato presso Stellarimages.com) e non presenta alcuna manipolazione.
Il fenomeno è stato spiegato a livello scientifico e porta il nome di pareidolia, ossia la tendenza istintiva e automatica a trovare forme familiari in immagini disordinate. E quale atteggiamento più umano della mente che si fa suggestionare.
Del resto il fantastico del ‘900 ci insegna che il diavolo si veste di abiti borghesi, e la sua esistenza vive nel tempo di un’esitazione dei fatti che vengono narrati, citando Tzvetan Todorov.

Un atteggiamento, quindi, che già si registra. Massificato negli ultimi 20 anni dal web e dalle tecnologie, e da una perizia maggiore delle forme narrative dei produttori di teorie del complotto.
Il nuovo modo di fare complottismo giova di due fattori: la replica del contenuto e un contenitore uguale per tutti (forum, YouTube, social, ecc.). Così, prima o poi, ci siamo ritrovati tutti sul treno con il tizio sconosciuto che comincia a raccontarti di questa o quella teoria sulle grandi manovre di società segrete, con lo stesso stile narrativo della voce fuoricampo del docufilm Zeitgeist. Senza sapere come rispondergli.

Così, prima o poi, ci siamo ritrovati tutti sul treno con il tizio sconosciuto che comincia a raccontarti di questa o quella teoria sulle grandi manovre di società segrete, con lo stesso stile narrativo della voce fuoricampo del docufilm Zeitgeist. Senza sapere come rispondergli.

Il procedimento della narrativa fantastica è lo stesso: è una teoria su ciò che sta dietro la realtà dei fatti che ti sto raccontando. Forse, è per questo che un libro come Le 20 giornate di Torino di Giorgio De Maria ha avuto più successo ai giorni d’oggi che negli anni ’70. Letto adesso, spurio del forte messaggio politico che poteva essere recepito allora, racconta violenti attentati accaduti nel capoluogo piemontese commessi dalle statue del centro in ribellione.
Il fantastico si concentra su trame e fatti meravigliosi. Ma, a ben pensarci, quando l’osservatore si trova di fronte lo schermo TV e assiste alla caduta delle torri gemelle, alla strage in Siria o è fisicamente partecipe della grande crisi economica del 2008, la razionalità cede sempre lo spazio al dubbio, a tutto quello di oscuro che fenomeni così devastanti nascondono alla vista e alla mente.

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Il fantastico si concentra su trame e fatti meravigliosi. Ma, a ben pensarci, quando l’osservatore si trova di fronte lo schermo TV e assiste alla caduta delle torri gemelle, alla strage in Siria o è fisicamente partecipe della grande crisi economica del 2008, la razionalità cede sempre lo spazio al dubbio, a tutto quello di oscuro che fenomeni così devastanti nascondono alla vista e alla mente.

Le risposte sulle reali meccaniche di quegli avvenimenti sono state date, ma anche tra i più attenti analisti c’è sempre discordanza sull’origine delle cause. Del resto il mondo, che lo si voglia o no, non ha chiavi di letture univoche e la semplice osservazione, secondo la fisica quantistica, influenza la realtà.
Forse, proprio perché la tesi è che la realtà abbia superato l’immaginazione, alcuni autori hanno assimilato che eventi inediti siano accettabili dal lettore più di prima e così anche le loro spiegazioni.
L’autore del fantastico ha dato spazio ai fatti della propria immaginazione, applicandoli alle teorie. Una dualità che è ben espressa ne Il cosmonauta di Kalfar. Il romanzo ha due linee narrative: da una parte il protagonista che viaggia verso lo spazio e incontra un alieno, dall’altra la vita del protagonista dalla rivoluzione di velluto ai giorni nostri. La prima storia è apertamente fantastica e vira verso la fantascienza. La seconda, invece, appartiene al romanzo storico con tanto di narrazione socio politica della trasformazione di Praga negli ultimi trent’anni. Tutta questa storia il cosmonauta la rivive attraverso un collegamento sinaptico con l’alieno. E il lettore è disposto ad accettare tutto questo. Un po’ quello che avvenne con Mattatoio n.5 di Vonnegut. Ma mentre Billy è affetto da disturbo da stress post-traumatico, e la realtà del suo viaggio a Tralfamadore è in dubbio, tutta la narrazione di Kalfar ha dei presupposti solidi e una dimostrazione storica che quel viaggio nello spazio possa avvenire. Addirittura il lancio del missile su cui Jakub Procházka si ritrova, si scoprirà essere tutta una macchinazione nei suoi confronti.

Infine, l’autore ha necessità che il lettore creda alle sue storie. E il fatto che tutta la narrazione della realtà di questi ultimi vent’anni abbia assunto sfaccettature così variegate aiuta di certo. La semplice esistenza di teorie del complotto, alle quali si può aver avuto accesso su internet o per bocca di un amico o da un pazzo sul treno, ha generato uno stato mentale di accettazione delle spiegazioni più radicali agli eventi più traumatizzanti.
L’affermazione del fantastico contemporaneo è quindi figlia del nostro tempo e del nostro spazio. L’istinto primordiale dell’uomo allo stupore del resto è incontrollabile, e quando l’immaginazione va in crisi la realtà oggettiva può solo che smembrarsi di altre realtà parallele, simili o opposte al mondo così come lo conosciamo.

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Illustrazioni di Irene Rinaldi

Chiedi a te stesso

 

Un anno fa nasceva Neutopia. Da allora molto è stato fatto e ancora molto c’è da fare. Anche quest’anno continueremo a rivolgerci al contemporaneo e a curare i contenuti di una rivista che, giunta al terzo numero, vorremmo trasformare in un punto di riferimento per le molte voci fuori dal coro letterariamente valide che fino a ieri sono rimaste escluse dal panorama editoriale per mancanza di lungimiranza dagli operatori di settore: esordienti, pubblicati o specificatamente contro l’editoria convenzionale, non come outsider isolati, ma come gruppo che cooperi per concretizzare l’obiettivo di creare una piattaforma editoriale: Neutopia Edizioni.

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Per riuscire in questa impresa, vogliamo aprire le nostre sezioni a nuovi autori (i cui testi migliori finiranno in due raccolte edite da Neutopia Edizioni) e formare una rete di menti e di corpi che funga da tramite per le nostre letture, presentazioni, performance. In questo modo, pensiamo di poter rendere la letteratura una base per un incontro possibile.

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