Gli scuri albori della RAPubblica | Il ritorno di Zona MC

È con l’EP Storia della RAPubblica 1943-1953. I veri anni di piombo che Stefano Mularoni, in arte Zona MC, torna nella forma disco dopo ben 8 anni che non è corretto definire “di inattività”, ma semplicemente di mutazione, già mappata in una vecchia intervista qui su Odile. Molte e poliedriche sono state infatti le sue produzioni dal suo ultimo album, Porconomia, del 2014: dalle sue apparizioni come frate rappista nelle puntate del Goth Talent di MusicaPerBambini alla pubblicazione del suo saggio Le origini del sovranismo, dalla realizzazione di un mashup-album tributo ai due linguaggi musicali a lui più affini, il rap e la breakcore, fino al suo sbarcare nel mondo dell’insegnamento scolastico, universo che probabilmente ha fatto scaturire l’urgenza di questa sua nuova avventura. Presenta lui stesso questo EP dicendo che “Chiunque sia stato a scuola sa che la storia della Repubblica italiana viene spiegata raramente, spesso in modo frettoloso e per di più in quella fase di sovraccarico di studio che precede l’esame di Stato. Intanto nell’editoria e nei social network si diffondono sempre più narrazioni revisioniste della storia d’Italia, con derive antikeynesiane, anticomuniste o addirittura antipartigiane”. Trovata quindi l’urgenza di spiegarle, l’opera di Zona MC si inoltra nell’esplorazione di quegli anni con l’avvalersi del supporto della storica Lidia Celli e di una abbondantissima bibliografia della quale presenta alcuni elementi in un video dedicato.

Occupatosi anche delle strumentali dell’EP, Mularoni decide di proseguire la sua attenta ricerca storiografica scegliendo per i suoi beat tutti campionamenti da registrazioni di quell’epoca riuscendo, fra le altre cose, nell’ardua impresa di non fare suonare come kitsch l’aria di Fischia il vento all’interno di un brano dedicato alla Resistenza e alle sue implicazioni. La ricerca è in più corredata da estratti da film e discorsi pubblici sempre d’epoca, con l’intenzione di tracciare un quadro il più fedele e chiarificatore possibile.

Per le orecchie più affezionate alle imprese audio di Zona, il nuovo EP suonerà molto come un ritorno a casa, sia dal punto di vista delle sopracitate strumentali che, lungi dai potenti abissi sonori di dischi come Caosmo dai suoni affidati ad altri produttori, ricordano molto di più le strumentali autoprodotte dei suoi primi lavori, con molte intelligenti scelte mascherate all’interno di una forma-beat più tipizzata, sia dal punto di vista dell’approccio didattico e narrativo alla scrittura che potrà fare ricordare ai molti Ananke ed altre opere simili. “Ma almeno stavolta voglio sorvolare sull’attuale/Tornando al passato non per nostalgia o rimpianto materiale/Si stava peggio ma quel clima intellettuale/Lasciava speranze a chi voleva rovesciare il Capitale” spiega Mularoni nella traccia dedicata alla scrittura della Costituzione, mettendo l’accento sul desiderio di una narrazione che si discosti da quelle più personali, sperimentali, critiche o fantastiche che negli anni aveva messo in campo nei suoi dischi, per poter osservare con chiarezza un periodo che osserva come cardine per comprendere il contemporaneo, in dialogo con le decadi future. Certamente la penna di Zona MC non maschera le sue opinioni, ma descrive con obiettività la concitatezza dei fatti di quegli anni, col suo sapiente utilizzo di una narrazione esplosa, accelerata, vivida di giochi e di immagini.

Isidoro Concas

DE GASPERI V-VII (’48 -‘ 53)

“Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare come imputato”

Nato nel Tirolo italiano sotto il dominio asburgico da subito vicino all’ambiente liturgico
Da giovane partecipa a proteste studentesche
Della minoranza italofona che lo investe
Segretario del Partito Popolare Trentino
Eletto nel parlamento austriaco in cui rimane sino all’annessione della regione all’Italia è il ’19
Quando segue don Luigi Sturzo il “prete sinistro” che muove critiche al fascismo ma è fuori dal tempo perché il suo partito vota la fiducia a Benito seguendo il Vaticano
E ciò spinge Sturzo a dimettersi diviene segretario Alcide
Ma poi nemmeno lui vuole flettersi alle leggi fascistissime
E nel ’27 è arrestato, incarcerato e graziato restando sorvegliato
Ed è così che durante il conflitto armato
Riunisce la politica cristiana sotto lo scudo crociato
Il resto l’abbiam visto, Ministro
E poi capo del Governo che abbandona le sinistre e mantiene alleanze atlantiste mentre all’interno
Ha già capito
Che i voti non sono tutto, conta il Capitale ossia il “quarto partito”
In breve negli anni della ricostruzione
Al nord prosegue l’industrializzazione
E al contrario nel meridione una stagione
Di riforme come quella agraria
Insieme alla Cassa del Mezzogiorno in parte varia
Il volto dell’Italia
Finiva l’agricoltura estensiva
Espropriati fondi a grandi proprietari
Li si offriva a aziende familiari
Ma l’azione non era propulsiva
Era solo sull’agricoltura, infrastrutture civili e stradali mancavano investimenti industriali
Solo più tardi in quel deserto sorgeranno le note cattedrali
Come quella aperta da Nitti nel 1904
Poi chiusa in ossequio all’UE nel ’94
Il sud doveva esportare solo il lavoro e col suo poco capitale comprare più merci al nord e non prodursele da solo
Un modello di espansione
Guidato in gran parte dall’esportazione del settentrione che può competere con l’estero perché dispone di una disoccupazione
Che abbassa i salari con l’emigrazione interna e il sindacato in accordo col padronato licenziamenti politici e il proletariato schedato
Più tecnologie avanzate
Per produrre beni di consumo per le economie europee più agiate
Tutto ciò fornisce il quadro indegno
Che solo rese possibile il boom economico a fine decennio
Per fare una sintesi del lustro
In cui ha governato De Gasperi ha restaurato più di quanto ha riformato
Solo dopo aspri dibattiti avviò riforme sociali ma insufficienti per le ricadute occupazionali
In parte eserciti industriali si assorbivan
Con il piano keynesiano di Fanfani di edilizia abitativa
Mentre Vanoni aumentava le entrate
Imponendo le dichiarazioni dei redditi prima mai compilate
E la compagnia del petrolio fu affidata per essere liquidata a Mattei
Ma egli si oppose all’oligopolio delle sette sorelle fondando l’ENI
Ma i suoi piani caddero con il suo aereo in uno dei tanti misteri
È quasi certo che furon mani mafiose
Come per Mauro De Mauro giornalista che sapeva troppe cose (nostre)
Di certo dopo Mattei scompare la sua visione
Ma rimangono i mezzi: la corruzione
E nel marzo ‘53: temendo l’elezione imminente
De Gasperi vara la “legge truffa” ossia un largo premio di maggioranza per la coalizione vincente
Scelba è scelto come proponente
Si dice che persino lui si oppose ma niente
Il presidente del Senato si dimise ma niente
Al suo posto venne Ruini che alla fine ultimò gli scrutini ma è evidente
Che nemmeno l’ex Presidente della Commissione per la Costituzione poteva arginare lo sdegno crescente
E come il Po nel ’51 è esondato con l’alluvione
Parri lasciava i Repubblicani e con Calamandrei fondava un partito da micropercentuale
Ma sufficiente a bloccare
Il premio truffaldino per la coalizione
Tutto ciò va ricordato per mettere anche le ombre nel quadro che a De Gasperi viene troppe volte dedicato del cristiano deluso dal Papa
Che contro i comunisti voleva allearsi con i monarchici e i neofascisti nell’elezione romana:
“proprio a me, un povero cattolico della Valsugana, è toccato dire no al Papa.”
O deluso dalla questione triestina a lui vicina ma che importa? Conta che sia ricordato chi poi ha lottato come i 6 che nel ’53 son morti sotto i colpi del Governo Militare Alleato
O europeista deluso dal fallimento della CED
Ma gli equilibri internazionali cambiano dopo che il 5 marzo del ’53
Muore Stalin e il timore della guerra in Corea
Che aveva oliato l’integrazione militare europea d’altronde il primo trattato firmato nel dopoguerra aveva scopi militari:
Tutti contro Stalin
Nei suoi discorsi De Gasperi ha una visione
Il perno dell’integrazione deve esser la partecipazione
Senza la democratizzazione
L’Europa diventerebbe fonte di – cito – “imbarazzo e oppressione”
Ma intanto tornando a ciò che abbiam lasciato
Il piombo colpiva chi si ribellava dal contado al sindacato
Come a Modena l’eccidio delle fonderie riunite la polizia uccide 6 operai e duecento persone ferite poi Ravenna, Venosa, Ragusa anni di repressioni
Fino all’apice: ’60, Governo Tambroni
Io per tutto questo e non solo li chiamo “anni di piombo” e i settanta invece “anni del tritolo” in quanto la nota tensione
Iniziò con un’esplosione
Mentre il piombo è sullo sfondo già dalla ricostruzione
«… mò c’hanno pure il radiogrammofono.»
«E te, teg l’è no la casa?»
«E la chiami casa questa? Du camere e cucina, eccole lì.»
«E non mangi tutti i giorni?»
«Come no? Patate, patate la mattina e patate la sera me so ingrassata che paro ‘na botte, fra un po’ me devo fà allargà tutto, non lo so io!»
«Ma ti te’l set che Gaetan i fa la borsa nera?»
«Fossi bono tu a falla!»
«Io mi contento di quello che guadagno.»
«Ecco e noi seguitiamo a magnà patate che ce fanno tanto bene!»
«Si mangia patate, si fa economia.»
«Ecco… se magnamo pure l’economia pe’ companatico!»

Testi e Musica di Zona MC

Esplorando il termine | Un’intervista a Carlo Corallo

Carlo Corallo, fine penna ragusana classe ’95, fin dall’inizio del suo percorso tra rap, storytelling e poesia ha cercato di evolvere il proprio linguaggio espressivo perché il suo istinto lirico si sposasse al meglio con la sua produzione, carica di immagini con un intento narrativo dove anche gli aspetti più tecnici del rap vengono utilizzati al fine di raccontare una storia. Il suo nuovo album, Quando le canzoni finiscono, è un ulteriore gradino scalato in questo suo cercare ed è un concept album dedicato a quel momento in cui qualcosa finisce, e a ciò che da lì prosegue. Per esplorare assieme questa sua nuova opera, l’abbiamo raggiunto per un’intervista.

Buondì Carlo, benvenuto su Neutopia. Il tuo nuovo album, Quando le canzoni finiscono, è una nuova tappa del tuo percorso tra scrittura e musica e decide di incentrarsi su un tema molto specifico: il termine di un qualcosa, il suo finire e quel che resta. In che modo hai incontrato la necessità di esplorare questo sentire, e come hai deciso di svilupparlo?

Ho deciso di sviluppare questo tema quando mi sono sentito tradito dalla mia ispirazione e messo all’angolo dalle contingenze del periodo Covid. Io scrivo assorbendo i fatti della vita quotidiana e limitarmi a stare a casa mi ha bloccato a lungo la creatività. Appena ho deciso che il tema sarebbe stato quello della fine, ho letto tanti libri e guardato tanti film inerenti, in modo da trarre più ispirazione possibile sull’argomento. È un tema che mi affascina perchè è uniformante, in quanto ci riguarda tutti, ma personale allo stesso tempo. Sono partito da “Etimologia” per dare una sorta di anticamera al progetto, volevo parlasse di “inizio”. Le dieci canzoni che la seguono raccontano la fine in diverse sfaccettature e al termine dell’ultima di esse si ipotizza un nuovo inizio. È la rappresentazione dell’andamento ciclico della vita, scandito da momenti di luce e buio che si alternano. Detto questo, non tutti gli epiloghi descritti hanno una connotazione negativa, spesso donano al protagonista una sensazione liberatoria.

Passando velocemente da Thanatos a Eros, una cosa salta chiara alle orecchie, nell’ascoltare le tue nuove tracce: se l’amore è sempre stato nelle tue parole, raccontato da moltissime prospettive, è solo in questo album che compare più potentemente l’elemento carnale, in più pezzi ed in maniera più sanguigna. Pensi che questa cosa abbia attinenza col tema del finire, o è qualcosa che è comparso per altri motivi?

Sanguigno è un termine adatto alla descrizione del corpo presente in questo album. Il corpo accomuna l’origine e la fine: è divino quando crea e mortale quando si deteriora. Inoltre, per me è un fattore importantissimo che si sta perdendo tra i meandri di una socialità sempre piú informatizzata. Inoltre, i corpi delineati nel disco, sono corpi che adempiono la loro funzione nel mondo in quanto tali e, dunque, non ricevono mai un giudizio estetico, ma si limitano a percepire e dare sensazioni, a compiere azioni che ne modificano i destini. Descrivo il fisico talvolta nella sua componente mistica, come in alcuni brani quali “Etimologia” e “Quando le canzoni finiscono”, talvolta nella sua componente razionale in altri brani quali “Il capofamiglia” e “Natura umana”.

Il tuo stile è molto immaginifico, e spesso nei tuoi testi lo spostamento tra un’immagine e l’altra si appoggia sul perno del doppio significato dello stesso vocabolo, spesso con effetto a sorpresa. Anche “fine” è un termine (e anche “termine”!) che è ambivalente: è qualcosa che hai esplorato, nel lavorare il tema? 

Fin dai miei esordi mi servo di termini-passepartout in grado di significare qualcosa di lontanissimo da ciò che normalmente identificano. Mi diverto tanto a far rimare i concetti e a rendere il senso malleabile, più che a giocare col semplice suono delle parole. Tuttavia, non è l’unico stratagemma tecnico che uso all’interno dei miei brani; mi piace impreziosire i testi con varie figure retoriche, cercando di non eccedere rendendo il tutto troppo lezioso. Già in “Ogni uomo nasce libro” (2017) dicevo “il fine ultimo l’hai capito alla fine dell’ultimo capitolo…”. Le parole “fine” e “termine” si prestano ottimamente a questo trick ed è una fortuna perchè mi permettono di arricchire di sfumature un’opera già prismatica.

Com’è stato condotto il lavoro sulle strumentali? Se appare chiaro, infatti, che nelle tracce in featuring i suoni scelti (soprattutto nell’utilizzare le batterie) si avvicinino al mondo delle persone con cui condividi il brano, così come del resto fai anche tu, accomodando la penna ed il flow al loro stile, è nei brani in cui compari solo che i riferimenti si allargano e mutano col variare del tuo scrivere. Ci sono state scelte più direttive di altre, con più priorità, nello scegliere i suoni? 

Ho cercato di utilizzare strumentali che mettessero a proprio agio gli ospiti dell’album, senza, però, snaturare il mio stile. Credo di sapermi adattare al mood sonoro degli altri, anche perchè ascolto generi di musica molto vari. Inoltre, ho scelto le basi a seconda della loro capacità di comunicare quanto espresso dalle parole. In questo secondo capitolo della mia discografia, mi avventuro maggiormente in soluzioni cantate e flow fuori dalla mia comfort zone: “Izakaya Jazz Interlude” ne è un esempio. Un tratto che, invece, ritorna dopo l’esperienza di Can’tAutorato, è la presenza di suoni ambientali, come il rumore dello sparo che fa scappare gli uccelli in “Qlcf”, il suono della pioggia in “Natura Umana” o il vocio dei bambini ne “Il capofamiglia”.

La tua scrittura abita quel terreno tra prosa e rap, tra liricismo e testo a cui ritornare, in cui sembrano confluire influenze più varie di quelle nel background di un rapper standard. Quali sono stati i passaggi e le suggestioni che ti hanno portato a Corallo per come è ora? 

Posso dividere le suggestioni che mi hanno accompagnato durante la creazione dell’album in quelle derivate  dall’arte pittorica, come nel caso di Ligabue, quelle musicali, come Kendrick Lamar, J. Cole, i Kings of Convenience, Sufjan Stevens, e quelle letterarie come Philip Roth, Kundera, Calvino, John Fante, Sandor Marai, Rigoni Stern e Andre Aciman.

ETIMOLOGIA

Parole dette a bassa voce
Soffiate oltre il collier d’oro
Da ore in bocca come un colluttorio dolce
Ed uno sguardo docile
Ma i tuoi capelli sono legni che mi basta torcere
E siamo torce, forse
È in volte come questa
Che penso che la mia etnia sia influenzata dall’Etna
Sudore se chiami per nome con quella cadenza lenta
E stai attenta alla scansione di ogni lettera
Tu rendi la passione un’esperienza
In cui ogni mossa è concеssa
Pure comandarsi a bacchetta
Ma per darе vita a un’emozione intensa
Che poi è la differenza tra un dittatore
Ed un direttore d’orchestra
La testa sta morendo al rogo
Io moderno Erodoto
Padre della storia nel senso di rapporto erotico
In un vorticoso incipit di voglia
Che ricorda i libri di scuola
Con gli indici prima di ogni parola
Ma ora, accolti questi baci apolidi
Il tatto è l’ultimo tratto prima di varie trasmigrazioni
Il contatto si fa simbiosi, fa dubitare del fatto
Che noi siamo due corpi soli e che siamo due corpi solidi
A rispondersi: “Stasera ho programmi”
Che ci fa sentire sempre più macchine e meno umani
Così vorrei bussassi, coi palmi sulla mia schiena

E che la testiera fosse una tastiera di vene pulsanti

Se io sono Bologna, tu sei San Petronio
Se io Xavier Dolan, tu Mommy
Ma con mille alibi tra le mani
Mentre un’aria estiva stimola l’umami
Così che i pensieri contrari di entrambi domani saranno unanimi
E distanti da credenti e padri
Ma anche noi con gli organi usati
Come strumenti per momenti sacri
Sai, il tuo mi piace, quasi
Perdo la pace se mi allontani
Forse è per questo che si piange appena nati
Il pericolo è di odiarsi tra anni
Durante vite lunghe in cui crescere insieme come le unghie
E magari farò il perito meglio di altri
Che un marito è già istruito
Al confronto continuo tra due caratteri
Da estranei conta un altro schema
Andare a cena è un rito per non star soli la sera
Concentrando la libido alla fine della pancia
Finché un liquido ci separa come alla fine della Pangea

O in una camera gelida o troppo calda

Con un parquet iridato e ogni parete bianca
Su cui strapparmi la giacca tipo avvocato radiato dall’albo
E starti accanto fin quando siamo irradiati dall’alba
Ormai quasi ogni tua usanza l’ho fatta mia
Ogni ansia o periodo di calma, ogni principio etico o follia
Per questo, quando dici: “Vieni da me”, sorrido
Perché per te è un invito, per me si tratta di etimologia

Concept & Film: Andrew Superview, Valeria Michetti
Starring: Ginevra Ambrosino, Nunzio Di Matteo
Testo e voce Carlo corallo
Produzione Osa

La storia di uno sguardo | Visioni Imperiali di TresDeca

«Duemilaventi, stelle cadenti, cultura neocoloniale/cambian le forme così come i venti ma tutto in sostanza rimane uguale», chiosa TresDeca nella title track del suo concept album Visioni Imperiali, disco di debutto che prende il suo nome da un capitolo di Sapiens. Da uomini a dèi di Yuval Noah Harari, libro da cui si sviluppa il pensiero sotteso al disco e racchiuso nella barra di cui sopra, ma che soprattutto sottolinea l’attenzione e l’amore di TresDeca per la storia dei popoli umani, tutti, che hanno attraversato il nostro pianeta nei millenni. Prodotto interamente da EdoardoJJ e uscito per Turindrugstore e Malcontenti Records, nuova etichetta nata con l’uscita di questo disco, Visioni Imperiali è un debutto peculiare nel quale i racconti intimi di testi come Rimango in me e Mr. Blade si inseriscono in un flusso di immagini molto più ampio che cerca di raccontare quanto ciclicamente ogni cosa, da moti personali a stravolgimenti globali, si riproponga in nuove declinazioni di una stessa voce nella storia degli esseri umani. Questa apertura di prospettiva si chiude in Bonus (96100), una dedica che può essere letta attraverso due chiavi speculari: la dedica a una persona amata, paragonandola alla terra, si incrocia a un inno alla terra stessa, paragonata a una persona amata.

È partendo dal punto di vista di un album – il primo ufficiale nella discografia dell’artista – che il progetto prende connotati interessanti: la consegna piana, precisa e tecnica di TresDeca e le strumentali di EdoardoJJ, in questo disco molto lineari e dalla personalità chiara ma non roboante, si intrecciano lungo un discorso che raramente si incontra in un debutto, storicamente più volto all’introduzione dell’ascoltatore all’interno del mondo dell’artista nella sua varietà più che nella sua intensità, con un volo radente ma distaccato lungo tutta la superficie delle sue potenzialità. Col passo che TresDeca compie, invece, tale varietà lascia spazio a un sincero discorso, appassionato e ben costruito, che adempie alla sua funzione di presentazione del personaggio per mezzo di una via più sottile, meno calcata, meno spettacolarizzata. Questa soluzione apre a una scoperta più intima e disponibile, ma non sul fronte della scena, come se la ricerca del proprio ascoltatore sia per TresDeca un processo nel quale anche l’altro deve compiere dei passi per andare sotto la superficie. Il doloroso messaggio al termine di Andata e Ritorno ne è un esempio perfetto, riuscendo a risignificare l’interno brano solo nel momento in cui lo si ascolta, non come elemento dell’outro, più musicale che significante, ma come parte del racconto a cui prestare la propria attenzione traducendo.

È proprio questa spietata sincerità del rap di TresDeca che ci consente di uscire fuori dal seminato strictly hip-hop prima di tutto per l’attenzione richiesta all’ascoltatore, in un dedalo di rimandi non pop che intessono un racconto, il quale pur rimanendo fedele a quel linguaggio, traccia una linea molto personale su quest’orizzonte, facendo emergere in un modo più sotterraneo la figura di chi scrive. È un gioco di specchi di cui la traccia di chiusura è solo l’esempio più clamoroso, ma che si ripropone in tutto il disco: è nel racconto più globale che la figura di Tresdeca viene a galla con maggiore chiarezza, ed è nei pezzi più personali che invece, dal piccolo, tenta di descrivere il grande. 

BONUS (96100)


I tuoi ricci sono larici autunnali lungo i pendii scoscesi che quando c’è vento ondeggiano, riecheggiando il mare
Nei tuoi occhi dimora la terra limosa e fertile, sconfinati paesaggi si aprono davanti a colui che la percorre e la attraversa
Le tue scapole sono teatro di grandi migrazioni danze e falò, attorno ai quali tutte le tribù di questo emisfero hanno cantato i loro totem guida
Il tuo collo è un violino che va suonato da mani morbide e vigorose, sensibili al suo impercettibile sussultare
Le tue mani sono estuari dei grandi fiumi orientali, portatrici di sale e ricchezza per la foresta e le sue creature
Il tuo seno è un vulcano e non può essere domato
I tuoi nei costellazioni ataviche culle, a labirinto per chi come me ha trovato silenzio e pace in cui potersi espandere 
Il tuo respiro è il mio, così il vento dai ghiacciai dolenti, porta al riparo la sabbia rovente del fuoco di ulivo, verso mondi sconosciuti, dove l’ignoto passa le sue giornate e il mistero ha il sapore di Etna Rosso.

Voce e testo di Tresdeca
Musica di EdoardoJJ

A spasso tra le ibridazioni: intervista a Zona MC

Zona MC, al secolo Stefano Mularoni, è attivo musicalmente da più di dieci anni e la sua penna strabordante ha dato vita a diversi album, che esplorano quel territorio di confine tra hip-hop e breakcore, tra flusso di coscienza e analisi millimetricamente soppesata, tra temi generali e prospettiva personale. Da sempre disponibili gratuitamente sul suo sito, ora i suoi album sono presenti anche su tutte le piattaforme di streaming musicale. In occasione di questa apertura del suo catalogo gli abbiamo proposto un’intervista psicogeografica lungo tutta la sua discografia. 


Partiamo col nostro viaggio con Breakhop, album che porta nel titolo quella crasi di generi che hai voluto esplorare con una accuratezza che sembra superare gli stilemi breakcore ed hip-hop e sembra fonderli più profondamente, a livello di punto di vista ed analisi sul mondo. In che modo hai approcciato questi linguaggi, e come è nata l’idea di farli confluire in un solo flusso fino al mixtape Respectro?


Credo che gli ibridi nascano sempre dall’amore che per natura supera ogni limite: nella musica, come nella sessualità, l’amore va oltre ogni “genere”. Beat distorti e rap in stile Uochi Toki, filosofia, sample di Rachmaninoff e batterie breakcore erano semplicemente gli ingredienti del mio nutrimento quotidiano e la musica è stato l’apparato digerente con cui li ho masticati e rimescolati tutti in un “bolo” (nella fase in cui studiavo a… Bolo! Chiedo scusa ai lettori seri). Invece Respectro, ripensandoci, nasce anche perché in quel periodo non mi stava uscendo del vero e proprio breakhop ma ne avevo ancora voglia (e solo in pochi lo fanno, anche oggi) e quindi ho sostituito il mio rap-copia con l’ingrediente originale: i maestri da cui ho imparato a rappare (2Pac, Nas, Wu-Tang, Biggie, Mos Def, Big Pun, Big-L, Aesop Rock…) su pezzi breakcore o electro. In ogni caso sei troppo gentile a definirla una mia “analisi sul mondo”, o meglio: la breakcore lo era già, io ne ho solo riverberato il senso con i testi, cercando di evocare anche con le parole quella “continuità che sorvola un mondo a pezzi”.


Porconomia, il tuo ultimo album come Zona MC prima di Burlona, è una serie di quadri chiarissimi delle umanità in gioco, in Italia e oltre, in quel terreno tra politica, economia ed etica, terreni poi incrociati con la storia nel tuo libro “Le origini del sovranismo”. In che modo, e per quale motivo, pensi che temi di questo tipo debbano essere divulgati?

Da tanto tempo percorro la strada per diventare un professore nei licei: mi sembra una delle vie migliori per insegnare e comunicare qualcosa di profondo e importante a persone che altrimenti non incontrerei o non mi ascolterebbero; ma in realtà cerco di tenere (per quanto possibile) separate le mie idee politiche dalle spiegazioni scolastiche, quindi la vera divulgazione orientata avviene sempre fuori dalla scuola, con libri e musica, rivolta (credo/temo) solo alla mia “bolla”. Per quanto riguarda l’economia o la storia c’è stata un’ingenua superbia alla base della mia scelta di “divulgare”: come se io stesso non fossi “volgo”! Quando ho cominciato non solo mi mancavano i titoli accademici del settore (tuttora sono laureato solo in filosofia) ma anche una solida conoscenza da autodidatta delle nozioni fondamentali. Il punto è che già con i miei primi studi economici avevo scoperto dei dati e dei modelli che avevano rovesciato la mia precedente posizione politica (che era ancora più ingenua e superba!), trovando delle chiavi, quasi dei passepartout, con cui comprendere finalmente alcuni eventi storici determinanti (ad esempio il passaggio dalla stagflazione degli anni ‘70 all’ondata neoliberista degli ultimi decenni, la riunificazione tedesca, Maastricht e l’introduzione dell’euro). Per dare qualche riferimento testuale, tutto è iniziato nella fase in cui la crisi economica stava raggiungendo l’apice in Italia: tentando di capire meglio le teorie economiche di cui parlava Barnard ero finito sul blog di Bagnai il quale, come ogni bravo prof, mi ha fatto capire quanto profonda era la mia ignoranza, fornendomi al contempo l’abc della macroeconomia; poi, negli anni successivi, mi sono messo a studiare testi universitari di Krugman, Blanchard e Brancaccio con cui ho esplorato vari modelli macroeconomici attuali e con J. K. Galbraith e Augusto Graziani ho approfondito la storia dell’economia (in generale con il primo; italiana del ‘900 con il secondo). Sono testi talmente illuminanti che mi hanno fatto sentire il dovere della divulgazione ma, appunto, non ha senso il dovere senza il sapere! Per questo, a metà strada, nel periodo di Porconomia, ho ritratto quasi solo le opinioni della massa, o meglio, di chi crede di sapere e non sa, facendo emergere il mio percorso per contrasto, senza l’ingenua pretesa di offrire delle proposte (che infatti lasciano spazio al silenzio nell’ultima traccia, quella che dovrebbe offrire soluzioni “anti-crisi”). Solo quando tutti i miei studi si sono intrecciati li ho infine riassunti nel mio libro del 2019 sulle origini del “sovranismo”: ma come sempre non so quanto sia servito agli altri. Di certo ho avuto più feedback con la mia “divulgazione musicale”; certo, in un disco non puoi spiegare problemi specialistici troppo complessi (anche se, non esistendo un limite fisso, produco da sempre in questo margine, ibridando) ma di sicuro puoi risvegliare un interesse e forse questo è ciò che finora mi è riuscito meglio.

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Zona


Altro terreno in cui la tua penna pesca a piene mani è la filosofia, sia per quanto riguarda i temi che tratti e gli impianti speculativi con cui li esplori, sia per i riferimenti che citi con frequenza, con un acme in Ananke, che è quasi una tesi compilativa sulla storia della Necessità riassunta in un EP. È anche uno dei tuoi campi di studi: che ruolo ha, tutto questo, nella tua scrittura?


Ancora un ibrido, ancora l’amore: i miei primi amori adolescenziali sono stati appunto il rap e la filosofia; se non si fossero uniti sarei rimasto scisso, non riesco nemmeno a immaginarlo! Anche i rapper che ascoltavo citavano talvolta dei filosofi ma mi sembrava sempre una sorta di orpello, un modo di darsi un tono invece di esplorare realmente il terreno della filosofia con le proprie rime: insomma, per loro era una citazione come tante, per me era un amore che stava per produrre un ibrido (sia chiaro, più tardi ho scoperto che contemporaneamente Murubutu stava componendo quel pezzo incredibile su Diogene di Sinope uscito proprio negli anni tra Ananke e Caosmo! Nel senso: non si inventa mai niente da soli, si è parte di un problema/clima virtuale comune). Ma forse non è Ananke il mio disco più filosofico: quello, più che una tesi, è un bignami mono-concettuale in rima, che quindi cita tanti filosofi e sistemi ma senza approfondirli, ruotando intorno a un solo concetto. Forse invece Breakhop e Caosmo sono più “filosofici” in quanto – anche se non creano propriamente dei concetti – attualizzano da più punti di vista varie riflessioni deleuziane (oltre la viseità – voltre, contro l’opinionanismo, un caosino virtuale oltre il digitale robotico, eccetera), proprio come stavo facendo nello stesso periodo nella mia tesi di laurea sul “virtuale” e sul web 2.0. In ogni caso la mia conoscenza della filosofia ai tempi era molto limitata; dopo gli ultimi 10 anni di studio (e di supplenze di storia e filosofia a scuola) ora mi sento in grado di fare molto di più, sia a scuola che nella musica!


Burlona è un album che nasce in combo con Burla22, produttore già comparso in altri tuoi lavori e realizzatore della cover del tuo Scrivere col Sangue. Se inizialmente i primi dischi li producevi tu stesso, man mano ti sei sempre più affidato a produzioni altrui, e così facendo la forma dei tuoi pezzi ha cominciato ad evolvere e mutare. Che rapporto intercorre tra quel che scrivi e la componente sonora? Che succedeva quando performavi live accompagnato invece dal solo battito di un metronomo?


Amo fare musica e rappare dal vivo senza basi, quindi faccio ancora entrambe le cose, ma ho amato Burla e la sua crew (Grr, Darkam, eccetera) dal primo ascolto: la loro musica è senza alcun dubbio più curata, più geniale e più bella della mia. Quindi anche qui abbiamo ibridato: in questo caso siamo animali lenti ma una volta ogni tot anni ci riproduciamo! Spesso comunque scrivo una strofa su una mia base a cui poi mi affeziono, è successo ad esempio con alcuni pezzi di Porconomia (i primi tre, come quello che campiona Svalutation di Celentano) che hanno basi molto grezze ma che secondo me erano ritmicamente più adatte di quelle (più belle) che mi passavano gli altri collaboratori (tra l’altro il sample di Svalutation accompagna un brano in cui si parla anche e proprio di svalutazione). Diciamo che i testi nascono sempre da una mia idea (tranne in Burlona) ma poi il perfezionamento ritmico lo faccio sempre sulle musiche, mie o altrui (e queste ultime nascono o spontaneamente dagli altri – come i beat di Burla in Caosmo – o da un progetto ideato insieme – Burlona). Sull’ultima domanda: ho sempre amato esibirmi (forse troppo!) e non sono mai stato realmente solo sul palco, anche perché il mio carattere genera sempre un rapporto intenso con il pubblico, a volte fino al litigio!


Parlando ancora di copertine, quella di Caosmo è affidata invece al l’illustrazione di Lapis Niger, aka Napo degli Uochi Toki. Con loro, il tuo rapporto di collaborazioni è lunghissimo: dal tuo cameo in Cuore Amore Errore Disintegrazione e alla pubblicazione di due dei tuoi album, tra le tante etichette, anche sui loro Accostamenti Improbabili, fino ad un costante intersecarsi che ancora prosegue. Come è nato il vostro incontro?


Se non ricordo male una mia ex-fidanzata – che ringrazio con tutto il cuore – me li ha consigliati per la prima volta ai tempi dell’università. Da quel momento è nata una sorta di pulsione imitativa e agonistica (ambivalenza che ho descritto anche nel brano “NeMito” in cui si parla appunto di come ogni mito deve diventare anche in parte un avversario da sfidare per non limitarsi a un’adorazione statica e sterile) che mi ha infine condotto a inviargli un mio demo-cd in cui li copiavo spudoratamente: se ricordo bene dopo vari ascolti hanno capito che dietro a quell’imitazione c’era qualcosa di non imitato, qualcosa di spontaneo che poteva maturare, quindi ci siamo incontrati e da lì è stata un’amicizia senza pause. Ovviamente, come si può intuire anche solo dai dischi, abbiamo spesso prassi, interessi e idee divergenti: ma chi ha detto che gli amici devono essere identici. Anzi, se avessi continuato a copiarli cercando di essere identico a loro forse non li avrei mai incontrati! Nota a margine: la vera risposta alla prima domanda sul breakhop è qui, in quanto ho scoperto da una loro intervista il nome di Venetian Snares e la breakcore!


Dopo essere passati attraverso tutte le tue passate produzioni, si arriva ad oggi, con la pubblicazione di tutto il tuo catalogo su Spotify. A cosa è dovuta questa scelta, dopo esserti sempre distribuito in maniera indipendente? E, soprattutto, bolle in pentola qualcosa per il futuro?


In realtà non credo di essere mai riuscito a essere totalmente indipendente: già con youtube e facebook avevo rinunciato a boicottare le grandi piattaforme: essendo la mia musica “free” sono caduto nella trappola del “freemium”. Sui progetti futuri: come dicevo prima, aver dedicato quasi tutto il mio tempo e spirito(saggine) allo studio mi ha riempito di storie che vorrei raccontare, quindi forse scriverò qualcosa di meno filosofico e più storico, una sorta di Ananke o Caosmo della storia contemporanea con cui ripercorrere in rima il (o meglio, le interpretazioni più note del) ‘900 per poi arrivare a oggi e gridare “espropriamo gli espropriatori, statalizziamo Spotify”!


FOLLIA VS. ROBOTICA


Il caos si rivela solo da un setaccio
L’automa lo riconobbe vedendo sotto la tuta epidermica il suo tatuaggio sul braccio
Ma quando dallo schizofrenico
Schizzarono insieme lacrime/pianti e un sorriso in un viso angelico
L’automa non comprese questa fusione di emozioni
Una contraddizione dei programmi l’aveva bloccato quasi come in robotmeditazione
Lo schizo schizzò via a velocità supersonica

Forse solo la follia può superare la robotica
Ma follia è un termine fuorviante
Più in generale abbiam frainteso il concetto di virtuale
Che non è affatto il digitale ma il problematico da creare
Chatroulette è il trionfo del random
Fenditura nella morale interpersonale
L’esempio più banale ed evidente è quello sessuale

Mentre il ricordo di un corpo noto nella masturbazione
Non è soltanto selezione, è la lotta fra immagine ed immaginazione
L’immagine nel web esplode in una pluriserializzazione
E come l’operaio nella produzione
Anche il masturbatore ha una propria forma di alienazione

Tu immagina un mondo In cui il digitale vorrà simulare e soddisfare
il tuo desiderio erotico più profondo: AntiEdipo del web 2.0
L’illusione in fondo è la stessa di quello che viene chiamato “mondo vero”
Ovvero quella di concepire il desiderio come mancanza
E rinchiuderlo in un’immagine che la completi ma non è mai abbastanza

“Benvenuto su Youporn 3.0
Carica l’immagine di persone che hai visto non solo sul web, ma davvero
Il sito crea automaticamente avatar in 3 dimensioni
E facendo lo stesso con i paesaggi, le lingue e le situazioni
Ottieni video più vicini alle tue esigenze individuali
Per smetterla coi viaggi mentali.”

Io, re delle seghe mentali, posso affermare che in questo mondo di normali
Forse c’è troppa poca schizofrenia per superare la robotica
Sì, perché c’è troppa follia, ma quella paranoica, dispotica
Quella che nel dottor Stranamore di Kubrick conduce all’atomica

Un automa pensante è pensabile col cazzo
Un automa pensante è pensabile col cazzo
Un automa pensante è pensabile col cazzo
Un automa pensante è pensabile col cazzo

Tratto da Caosmo
testo e musica di zona mc
Produzione BURLA

L’esplosione tra jazz e hip hop | Studio Murena

La proposta dell’ultimo album dei Studio Murena, formazione a cavallo tra il jazz contemporaneo, l’hip-hop e la musica elettronica, prende una piega (anche) spoken con l’ultimo rimpolparsi della sua formazione: raggiunti i sei elementi, infatti, a fianco dei synth di Matteo Castiglioni e del basso di Maurizio Gazzola, alle chitarre di Amedeo Nan e alla batteria di Marco Falcon, all’elettronica di Giovanni Ferrazzi ed alle incursioni dei fiati di Riccardo Sala in alcuni dei loro pezzi, compare la presenza di Lorenzo Carminati a.k.a Carma, MC dell’hinterland milanese che, unendosi ad un progetto musicale che già in nuce raccoglieva una spiccata propensione alla sperimentazione e una profonda capacità e conoscenza tecnica, ha messo le sue liriche al servizio di un universo sonoro ricchissimo, profondamente radicato nel contemporaneo e dalla forte portata immaginifica. Abbiamo deciso di intervistare la band per poter scavare più in profondità il mondo dietro a Studio Murena, il loro primo album in formazione completa, uscito a febbraio per Costello’s Records.

Ragazzi, voi sei vi siete incontrati tra jam, conservatori e progetti musicali passati: come avete deciso di unire le vostre forze per costruire un progetto assieme, soprattutto considerando i vostri background musicali che, per quanto eclettici ed aperti, hanno comunque le loro radici in terreni differenti? In che modo lavorate per rendere il vostro suono così unitario, ed il messaggio della penna di Carma così aderente al vostro immaginario sonoro?

Sin dagli inizi, quando tre di noi hanno deciso di intraprendere un progetto chiamato Studio Murena, il motore principale è stato il bisogno di creare un suono che ci rappresentasse, che in qualche modo si allontanasse da tutto quello che avevamo intorno e contemporaneamente riuscisse a riassumere il nostro background con le sue molteplici influenze. La magia è avvenuta una volta giunti alla formazione attuale, quando ci siamo resi conto che ognuno di noi, con il proprio background e con la propria identità, si poteva facilmente incastrare con gli altri senza perdere il personale gusto musicale che lo contraddistingueva ma anzi arricchendo quello degli altri. La nostra forza è proprio questa, e la modalità con cui componiamo lo conferma: spesso partiamo con un’idea del singolo (una barra, un groove, una melodia, un’armonia, un sample) per poi implementarla in un meccanismo creativo che coinvolge tutti i componenti del gruppo su livelli diversi, così che ognuno possa arrivare in qualche modo a rendere suo quel brano.

Il vostro sound ha profonde influenze UK jazz e richiama a quel terreno ora sempre più esplorato che è quella terra di mezzo tra jazz, musica elettronica, soul, hip-hop e funk che è rappresentato nel mainstream da musicisti come Jacob Collier, Thundercat, gli Hiatus Kaiyote e moltissimi altri. Quanto l’aver imparato a suonare in un contesto formale come il conservatorio vi ha influenzato nell’approccio ai vostri strumenti, sia in positivo che in negativo, nell’ottica di produrre qualcosa di vostro?

Sicuramente studiare in conservatorio ci ha dato delle solide basi su cui sviluppare le nostre idee, dall’altra parte non bisogna mai perdere il contatto con l’esterno: è facile rimanere chiusi dentro le regole imposte dai grandi del passato e dimenticarsi dell’epoca in cui si sta vivendo. Il jazz, per definizione, è il genere che maggiormente beneficia dall’unione di diversi stili musicali, per quello che ci riguarda siamo sempre stati attenti alle nuove scene che stavano prendendo piede e senza dubbio quella UK jazz è una di quelle che prendiamo maggiormente come riferimento adattandola ai nostri studi e personalità, cercando così di creare il suono Studio Murena.

Carma, lo scrivere per un progetto come Studio Murena è una sfida non scontata per un MC e tu l’hai saputa superare meravigliosamente, fondendoti nelle loro atmosfere e cavalcando anche strumentali che ritmicamente superano i classici 4/4 del boom-bap o i terzinati della trap toccando poliritmie e tempi dispari. In che modo interagisci col resto del gruppo? Come prendono forma i tuoi testi, e cosa vuoi esprimere?

Oggettivamente non c’è un vero e proprio tracciato tematico per quello che riguarda i testi, quello che cerco di fare è mescolarmi al suono delle strumentali nel modo più genuino possibile e per questo mi sono trovato a scrivere più o meno in, e di, ogni situazione. Studio Murena richiede dedizione e molta ricerca tecnica ma si parla di lavoro di gruppo: poliritmie e trick affini sono frutto di tre anni passati in cantina a suonare e a passarci vibre, musicali e non. Alla fine possiamo dirci di aver intrapreso un percorso di contaminazione reciproca incredibile e prezioso.

Il vostro ultimo album, il self-titled Studio Murena, ha come traccia d’apertura un brano intitolato “«” che fa il paio col brano di chiusura, “»”, quasi a sottintendere un racconto unitario che unisca l’intero progetto. Cosa racconta, questo disco?

Esattamente, l’idea è proprio quella di creare un racconto unico costituito dai singoli brani del disco. L’idea non è però quella di formare un discorso narrativo, ma puramente sonoro. I brani « e » rappresentano due modalità precise con le quali lavoriamo alla produzione dei nostri brani e che si legano in modo particolare alle tecniche di produzione e composizione nella musica hip-hop e jazz. Nel primo brano del disco infatti abbiamo registrato una jam in sala di registrazione e poi siamo andati a ritagliare e post-produrre, quindi a ricampionare noi stessi, mentre nell’ultimo brano del disco il processo è stato inverso, è partito da alcuni campionamenti di Giovanni sui quali abbiamo improvvisato delle sezioni strumentali. Queste tecniche e pratiche vengono usate ampiamente anche nella musica strumentale jazz contemporanea, basti pensare ai tanti album di Makaya McCraven, tra i tanti, che sono stati proprio creati partendo da registrazioni live successivamente post-prodotte e ricampionate per poi essere ricomposte in sala di registrazione. Il nostro disco è legato a queste pratiche storiche e nei diversi brani si sentono chiaramente anche tutte le altre influenze musicali che fanno parte di noi che ci hanno portato alla costruzione di questo viaggio sonoro.

Le atmosfere di Studio Murena, in quaranta minuti d’album, riescono a spostarsi su molte nuance differenti, alternando la presenza della penna di Carma a sezioni strumentali, racconti intimi con uno storytelling più ampio, dettagliato e distaccato. Doveste proporvi all’ascolto con una sola vostra traccia, quale scegliereste? E perché?

Probabilmente sceglieremmo Long John Silver, l’ultimo singolo che abbiamo pubblicato prima dell’uscita dell’album vero e proprio. È un brano che racconta tanto del nostro suono e delle liriche di Carma, in particolare il pezzo si trasforma rapidamente nelle diverse sezioni, mutando da atmosfere più astratte e ambient a momenti boom-bap hip-hop, sino al breakbeat e alla narrazione/spoken word conscious. È anche un brano che si lega alla nostra città e ai luoghi che attraversiamo e che viviamo giornalmente, ed è anche uno degli ultimi brani che abbiamo scritto e da cui siamo partiti per la creazione del prossimo lavoro: per sapere quando uscirà, stay tuned!

LONG JOHN SILVER

Da tempo è più difficile parlarti
vedevo chiaro ma con le orbite degli altri
ora mi chiedi tanto perché tanto posso darti:
calcinacci in faccia a volti bianchi e figli nati stanchi
fumo cardi, non vado in para a farli
la malinconia è caligine e sta all’iride adattarsi
è solo un folle mondo infame come tanti
leggo teste e vedo scalpi
e indosso ho piume d’avvoltoio e denti di sciacalli

Gira una brolla poi gioca ad anticiparmi
il tetto crolla sto in bolla con pesi maxi
nel cervello c’ho una gobba mi tocca addomesticarmi
con la paranoia in spalla e la voglia di sterminarvi

È la verità
te la senti di sentirla oppure scazzi pure qua?
tu come cristo fai pietà
io se ho sempre dato il peggio è solo per necessità

Io sono Long John Silver
un altro zero a bordo con la faccia da stronzo e la testa mille
nei polmoni l’aria frigge con il crew faccio le cinque
finché poi non torno a casa e al cesso sbocco le tonsille
Il nome è Long John Silver
un altro zero a bordo con la faccia da stronzo e la testa mille
nei polmoni l’aria frigge con il crew faccio le cinque
finchè poi non torno a casa e al cesso sbocco le tonsille

E mi ritrovo ancora sulle stesse cose
con la faccia rossa tipo Serse Cosmi
noi cosmicamente stiamo agli antipodi
ma i fili di ricordi che porti ci rendon simili
ma c’imiti? fake, respiro i brividi dei miei
per sti sghei frolliamo percorsi ripidi
se a un cristiano levi tutti non distingui più
il pensiero suo dagli altri per quanto siano dissimili

Bah, dirò la verità
la vita è una puttana e solo a me non me la dà
tu come coso fai pietà
io se ho sempre dato il peggio è solo per necessità

Io sono Long John Silver
un altro zero a bordo con la faccia da stronzo e la testa mille
nei polmoni l’aria frigge con il crew faccio le cinque
finché poi non torno a casa e al cesso sbocco le tonsille
Il nome è Long John Silver
un altro zero a bordo con la faccia da stronzo e la testa mille
nei polmoni l’aria frigge con il crew faccio le cinque
finché poi non torno a casa e al cesso sbocco le tonsille

Studio Murena © 2021 Costello’s Records
All lyrics by Lorenzo Carminati
Matteo Castiglioni – Electric Piano, Synth
Marco Falcon – Drums
Giovanni Ferrazzi – Electronics
Maurizio Gazzola – Bass
Amedeo Nan – Guitar
Artwork : Federico Protti