Le ragioni della fuga

Posted on 05/01/19

Ho sentito un colpo di tosse provenire da sotto il mio letto. Non è la mia immaginazione.
Me se stavo lì, pronto per dormire, a fissare il soffitto. Lo saprete, ormai, come faccio: tengo le braccia incrociate sul petto, e attendo. Intorno a me solo il nero, il nero di ogni possibile spiraglio di luce da fuori tappato a dovere. Nessuna via d’uscita.
Non posso essermi sbagliato, qualcuno sotto il mio letto ha tossito.
Non ho provato a muovermi, sono rimasto fermo. La mia unica preoccupazione, allora, è stata da dove sarebbe strisciata la mano che mi avrebbe portato giù, sotto il letto con lei. Sarebbe potuta arrivare da destra, e prendermi la mano con le sue dita fredde e ossute. Oppure avrebbe potuto prendermi i piedi, sgusciare sotto il lenzuolo dalla base del letto.
Mi ricordo di aver tirato su i piedi. Questo ho fatto. Poi, lentamente, e senza emettere alcun suono, mi sono raggomitolato al centro perfetto del materasso e ho chiuso gli occhi il più possibile. Fuori dalla finestra è passato un motorino, velocissimo, e sotto quel suono potrei giurare di averlo sentito di nuovo, quel colpo di gola secco e roco.
C’era qualcuno in casa mia. Strano, sono tre anni che non apro la porta del mio appartamento.

Posted on 06/01/19

Buongiorno. Le riflessioni di oggi:
C’è qualcosa di intrinsecamente giusto nell’abbandonare il consorzio sociale. Lo sapete, lo sentite, che è corretto. Come una morale che non sapete di aver imparato ma sta lì, in fondo al vostro cuore – a riposare. Molti uomini passano la vita a cercare una strada metafisica o mistica per rifiutare il reale, quando ne esiste una più semplice e pura. Lo sanno, ma lo evitano.
È la prima cosa che ho pensato questa mattina, quando ho aperto gli occhi. Sono sopravvissuto. Ovviamente sotto il letto non c’è nessuno. Non ho controllato, ma non c’è nessuno.
Per prima cosa ho messo a posto un po’ l’appartamento. La dottoressa dice che è per darmi delle regole, e forse ha ragione, ma il motivo per cui ho accettato il consiglio è perché sono certo che sia davvero difficile vivere in posto brutto. Bisogna prendersi cura del proprio corpo, bisogna prendersi cura della propria culla.

Davvero, dovreste mettere anche voi a posto, ogni tanto. Fate i bravi.

Posted on 07/01/19

Ieri ho detto una bugia. Una bugia a metà. Non ho messo a posto, ho solo lavato qualche piatto. L’aspirapolvere non sono riuscito a usarlo. Non vorrei disturbare nessuno, perché è chiaro che c’è qualcuno, in questa casa.

Posted on 08/01/19

Il mio appartamento è piccolo ma accogliente. La cosa speciale è che deve essere accogliente solo per me. È fantastico pensare di prendersi così tanto cura di se stessi. Davvero. Se quando mi fossi iscritto all’università avessi permesso a papà di risicare sull’affitto, se mi fossi accontentato di un appartamento con le finiture vecchie, sarebbe stata la fine. Ho fatto bene e insistere. Ogni tanto preferirei che me l’avesse comprata, così potrei abbattere qualche muro e avere più spazio per le cose, mentre qui tutto si riduce a piccoli corriodi che dividono quello che a tutti gli effetti sarebbe un monolocale. I muri sono di cartapesta, talmente fini che potresti spaccarli con un pugno.

Posted on 10/01/19

Oggi è venuto a trovarmi papà. Non posso dire che mi dispiaccia, anche se ormai non posso più guardarmi allo specchio. Ogni volta che lo faccio, inevitabilmente vedo lui. Le rughe negli stessi posti, che provengono inevitabilmente dalle spesse espressioni del viso ripetute negli anni e di conseguenza dalle stesse emozioni. Il modo in cui sbuffa quando pensa di non essere visto è il mio, come è uguale al mio il modo in cui grugna di fatica appoggiando lo scatolone di cibo che mi porta ogni mese, e l’espressione di disgusto che fa ogni volta che guarda la stanza in cui vivo.
Oggi, quell’espressione era più accentuata.
Ha fatto viaggiare il suo sguardo da militare su tutti gli oggetti rovesciati, i cocci, il lavandino pulito e subito riempito di nuovo. Una volta ha detto che non c’è differenza tra vivere così e vivere sulla panchina di una stazione.
L’unica cosa che non ha notato è la minuscola scrivania ikea, col laptop, dove la dottoressa mi ha implorato di tenere il diario. Il papà si fa bastare il fatto di sguasciare nell’appartamento, senza che io lo senta entrare, e di portarmi da mangiare. Poi, assolto il compito, cerca a fatica un posto su cui sedersi, appoggia i gomiti sulle ginocchia, si sporge in avanti, e inizia il teatro:
– Aloooora. Novità?

Posted on 10/01/19

Novità, papà, quelle che non posso dire:

1 – La dottoressa non crede sia stato un ottimo segnale quello di ripetermi che assomiglio a uno dei ragni che crescono negli angoli della mia camera. Sono stato io a provare a giustificarti, dicendo che parlavi della mia barbetta a ciuffi, che assomiglia un po’, è vero, al dorso dei ragni. Lei dice che alludi alla stasi, io credo che tu non alluda mai a un cazzo. Fatto sta che la dottoressa crede che tu sia un coglione.

2 – Ho sentito grattare qualcosa dietro la parete del bagno, ieri sera. Non il suono delle unghiette insistenti di un ratto, ma un suono lungo, di una superficie che striscia su un’altra per un periodo considerevole di tempo. Il tempo giusto per farmi credere che sia un suono creato apposta per spaventarmi.

3 – Anche quando cerchi di giudicarmi coi tuoi occhi militari, papà, io lo vedo. Lo vedo, il tuo profondo rispetto nei miei confronti. Da quando hai capito che non sarei più uscito, che avrei prefeito morire di fare per tornare al consorzio sociale. Quando hai visto come fa un uomo, quando per non spezzarsi non prova neanche a piegarsi. Un uomo. Quello che la mamma avrebbe voluto che fossi. Forse è per questo che adesso ti tengo testa quasi come un allenamento. Per questo che quando ti protendi verso di me, braccia sulle ginocchia, faccio lo stesso. Ti guardo degli occhi, e vorrei dirti: “Novità? Nessuna. E tu, dal tuo mondo, che scuse hai per non avere novità?”

Posted on 15/02/19

Parliamo di quando scende la notte.
L’inverno è senza dubbio la stagione peggiore per chi non esce. Quando c’è un temporale non puoi evitare di ascoltarlo, né di guardarlo, come un estraneo, dalla finestra. Una volta ho sbarrato le finestre per giorni, e spento tutte le luci. Credevo che il solo fatto di vedere mi potesse impedire un giudizio oggettivo sulle cose. Al primo temporale, ho deciso di abdicare.
Quando scendono certe notti, col vento che si porta via pezzi del mondo fuori, è difficile credere di essere davvero al sicuro. Ora, quando arrivano notti del genere, accendo tutte le luci. Non potrei restare al buio sapendo che una mano potrebbe stringermi la gola in qualsiasi momento.
Mi sono messo davanti all’armadio, a vigilare. È un armadio a muro, altissimo. So che ci si può nascondere perché da piccolo lo facevo io stesso. Questo armadio era a casa della nonna, molti anni fa. Non posso aprirlo, anche perché con tutto questo vento non riesco a sentire alcun rumore. Non posso rischiare. L’unica cosa è tenersi impegnati, ogni tanto. Seguite questo mio consiglio: passate dieci secondi a guardare l’armadio, poi voltatevi e fingete di andarvene. Poi rivoltatevi.
L’ho fatto dieci volte. Visto che nessuno cercava di uscire, ho deciso di spegnere la luce. Sono anni che non spengo la luce.
A luce spenta puoi fregare facilmente qualunque intruso, qualunque intruso che creda di sentirsi al sicuro nel buio. Fuori il temporale strappava i rami dagli alberi, e foglie e brecciolino venivano piroettati fin contro la mia finestra, a grattare e bussare.
A un certo momento, in tutto quel turbinare di suoni, ho avuto la certezza di essere osservato. Più che osservato, giudicato, percepito. La straziante sensazione che il mio corpo, il mio movimento, producessero un effetto sul mondo circostante. Come se le foglie, e il vento, e i rami, agissero in risposta al mio agire. Come essere giudicati da un’entità senza occhi: essere percepiti da una colonia di vermi bianchi e ciechi dentro l’armadio, che si contorcono nelle tasche di giacche smesse da anni e mai più indossate. Intorno a me il rumore del mondo da fuori si era fatto insostenibile, un brusio incessante e famelico. Non avrei mai dovuto lasciar parlare la notte. Mai dare la possibilità a niente, mai, ho pensato mentre correvo a cercare l’interruttore.
Dentro, fuori, qualcosa si nasconde – e non ci lascia uscire né entrare. Semplicemente, non siamo agenti di nulla. Sempre agìti.
Ho trovato l’interruttore cercando a tentoni. CLIC. All’accendersi delle piccole lampadine del soffitto, il suono del mondo si è fatto più ovattato. C’era di nuovo differenza tra il dentro e il fuori. Ero salvo. Solo allora ho gettato uno sguardo alle ante dell’armadio.
Erano chiuse. L’intruso non aveva avuto tempo di uscire. È stato per qualche secondo che ho sentito la calma, e i piedi tornare a premere sul pavimento di casa. Ero salvo.
Però c’era qualcosa.
Qualcosa che incrinava da superficie laccata, rimasta perfetta e liscia per tutti quegli anni. Ho avvicinato il viso alle ante, e ho visto il graffio. Un lungo, e leggerissimo solco attraversava perpendicolarmente la superficie del legno, si interrompeva all’intersezione delle ante, e proseguiva fino quasi a terra. Un solco che avrebbe potuto produrre un’unghia ben conficcata, l’unghia di qualcuno che non avesse paura di farsi del male premendo con forza, pur di lasciare un segno qualunque.
Ho osservato quel solco tremendo, seguendolo con lo sguardo e notando le imprecisioni, le piccole sbavature che ogni tanto rompevano la perfezione della linea. C’era qualcosa di incredibilmente sbagliato in quel segno, qualcosa che aveva a che fare con l’errore, più che con la paura. Non era un messaggio, non era un avvertimento. Era solo uno sbaglio, uno sbaglio inciso nel legno.

Posted on 17/01/19

La dottoressa mi parla ormai solo di due cose: Il Tempo e L’Errore. Sono i suoi argomenti preferiti. Ne parla anche quando scopa, secondo me. Se scopa.
Dice che spesso quelli come me non si rendono conto della preziosità del tempo, della responsabilità che porta. Se io non fossi conscio di questa cazzo di responsabilità, cara dottoressa, non mi lascerei schiacciare dall’urgenza. Odio l’urgenza, odio la fretta, l’unica scelta. Spingere. La visione del tempo come qualcosa da usare, come una risorsa.
La responsabilità di cui non bisogna avere paura.
Non è vero che non esco per paura, cazzo. Non usciamo perché le persone sveglie se ne rendono conto presto, che il mondo è palesemente tremendo. Nel momento in cui uno riesce a superare l’empasse del mangiare e del dormire, tutto il resto è superfluo. Se un leone avesse da mangiare e dormire non caccerebbe. Starebbe qui come me, ma vivrebbe peggio, perché non avrebbe la community. La mia community siete voi. Se qualcuno mi sente, può darmi dei consigli su come scovare un ladro in casa?

Posted on 18/01/19

Quando la dottoressa mi chiede se sto continuando il diario le dico che no, è troppo difficile. Se solo sapesse che basterebbe fare una minima ricerca online per trovare tutto questo, potrebbe anche venire ad aiutarmi per davvero. Questa notte qualcuno respirava sotto il letto, rauco come qualcosa che gratta contro un mattone. C’è qualcuno che mi legge? Un segno?

Posted on 25/01/19

Chiunque tu sia, puoi smetterla di prenderti gioco di me e venirmi a prendere?

Posted on 26/01/19

Ho acceso la telecamera che mi ha regalato la mamma per il mio undicesimo compleanno e l’ho puntata in un punto che abbracciasse tutta la stanza. L’ho fatta andare tutta la notte. Dopo qualche ora ha esaurito la memoria, ma ho comunque ottenuto la ripresa dalle 02:14 alle 04:45. Non c’è niente da vedere se non io che mi rigiro nel letto.
Fuori oggi ha ripreso a nevicare.
Negli ultimi fotogrammi della ripresa ci sono io che mi volto verso la camera. Mi vedo mentre guardo nell’obiettivo, senza riuscire a prendere sonno. Ho gli occhi molto gonfi, e sembro sempre mio padre. Avrò anche io gli occhi militari, un giorno?
Perché mi voglio convincere che ci sia un’altra realtà, oltre a questa? Se il mondo fuori è come è non è colpa di nessuno. C’è una sola realtà, non ci sono colpi di tosse da ascoltare. Forse Forse Forse. Forse ci sono solo io, e gli errori di cui ho bisogno.
Forse la realtà che mi stava emarginando sarebbe stata la stessa verso cui sarei dovuto andare, solo da un percorso diverso. Posso essere solo sicuro che fuori nevica, ogni tanto tuona, e che qui dentro purtroppo ci sono solo io.
Ne sarei sicuro, se non ci fosse qualcuno che ha appena starnutito. Non mi volto nemmeno. Il suono viene dall’interno del muro di cartongesso, quello col buco coperto dal poster della tipa uguale uguale a Chiara.
Non mi volto nemmeno. Seguite il mio consiglio. Non voltatevi mai.

Illutrazione di Xhxix