Non sei razzista. È solo che non ti piacciono i neri, chi mangia troppe spezie e chi ti ferma per strada dicendo di non aver mangiato. Hai provato a farteli piacere, ma niente. Non funziona. Sei salito sull’autobus, ti hanno consigliato di respirare con la bocca e ripensando all’antibiotico liquido che da bambino mandavi giù tappandoti il naso, hai risposto: «Signora, guardi che fa schifo uguale».
Hai annotato sul taccuino: I mezzi pubblici puzzano. Cambiare tragitto.
Anche gli asiatici non ti fanno impazzire. Specie i ragazzini cinesi che incontri sotto casa e si accalcano sul marciapiede per comprare pinte di beveroni impallinati e multicolore in quel nuovo locale – cinese – che dopo vent’anni ha preso il posto della bottega di Mariuccia.
Ti piaceva Mariuccia.
Hai scritto:Verificare cosa bevono i cinesi, esporre reclamo per schiamazzi. Cercare foto di Mariuccia.
Sei salito sull’autobus, ti hanno consigliato di respirare con la bocca e ripensando all’antibiotico liquido che da bambino mandavi giù tappandoti il naso, hai risposto: «Signora, guardi che fa schifo uguale».
Cammini per le vie di una città estranea che negli anni si è fatta ipertrofica, rassicurato solo in parte dall’aver vissuto tutta la vita nella geometria di un isolato ancora riconoscibile. Il boom edilizio non ha ricostruito la tua memoria. Attraversi il parco in cui giocavi con tuo fratello, lanciavate palline di mollica ai piccioni e poi sparavate con una pistola a piombini.
Vinceva chi gli faceva saltare la testa. Hai vinto sempre tu.
Annoti: Dov’è finitala pistola a piombini?
Saluti i vecchi che giocano a scacchi. Sono i soliti sulla stessa panchina, ogni tanto ne muore uno. «Salve», un cenno con il capo, una smorfia di sorriso. Non vi siete mai parlati ma nell’economia delle parole è sufficiente così.
Attraversi la strada e svolti l’angolo a destra in direzione del fioraio. Compri dei gigli bianchi per Gaia. Bianchi perché significano purezza – l’hai letto su un sito di giardinaggio – gigli perché le rose ti fanno pensare ai bengalesi, indiani o quello che sono.
I fiori le piaceranno.
Quando aprirai la porta di casa la troverai seduta sulla poltrona a sferruzzare un maglione da regalare a un ipotetico amico o amica che non si presenterà mai. Solleverà la testa, ti guarderà con lo sguardo vitreo di un pesce boccheggiante dentro l’acquario in attesa del mangime, e con enfasi proporzionata ai milligrammi di Prozac® e benzodiazepine assunti, ti ringrazierà.
Metti il resto in tasca, posi i gigli e scrivi sul taccuino: Ricordarsi di preparare i farmaci.
Attraversi il parco in cui giocavi con tuo fratello, lanciavate palline di mollica ai piccioni e poi sparavate con una pistola a piombini.
Vinceva chi gli faceva saltare la testa. Hai vinto sempre tu.
Il marciapiede si fa più affollato, devi superare mamme che passeggiano insieme ad altre mamme, bambini e passeggini gemellari, vecchie con cani e giovani con cellulari. Incontri la vicina di casa: la figlia di quella cagna dell’amministrazione condominiale.
Finge di non vederti.
Pensi: Insulse stronze medio borghesi, comunque non pagherò l’affitto e non me ne andrò.
Entri nel supermercato per comprare 700 g di alette di pollo piccanti, fiammiferi, schiuma da barba per barbe dure e crema per i piedi. Esci con la stessa velocità del nastro trasportatore delle casse e l’entusiasmo della cassiera a cui hanno posticipato la pensione.
È tuo fratello quello nel furgone parcheggiato fuori?
Sembrerebbe di sì.
Ora sta guardando dall’altra parte però nella mancata sincronia dei tempi potrebbe averti visto un attimo fa, quando eri voltato. Alla tua cordiale mail con oggetto “Richiesta prestito” non ha mai risposto. Forse è stato un bene. Non è il tipo che si sa rapportare con chi interpreta il ruolo dell’assente da quattordici anni.
Le monete continuano a tintinnare nella tasca, così, quando quel senzatetto si avvicina sai di fare la cosa giusta: le estrai con cura dai pantaloni, le porgi sorridendo e nel momento in cui allunga la mano le lasci cadere nel tombino ai suoi piedi.
«Non si può vivere di carità. Devi impararlo anche tu».
Compri dei gigli bianchi per Gaia. Bianchi perché significano purezza – l’hai letto su un sito di giardinaggio – gigli perché le rose ti fanno pensare ai bengalesi, indiani o quello che sono.
Dopo aver cenato massaggi i piedi di Gaia. Li vuoi sentire morbidi sotto i denti. La pelle dev’essere idratata e i polsi ben stretti nella corda.
È così che ti piace.
Hai rinunciato alla famiglia per amore. Per prenderti cura di Gaia.
Sul letto le accarezzi le natiche, afferri i fianchi ed entri in quella parte di lei che non hai mai considerato pura. Mariuccia. Anni di masturbazione adolescenziale pensando al culo dell’amica di tua madre. Le avevi anche regalato una foto in cui mostravi le tue dimensioni, il piacere che ti dava. Non aveva gradito e sul taccuino avevi annotato: Quella troia non mi vuole. Andrò a vivere vicino a lei.
Fatto. Vai a lavarti e ti rivesti.
Scendi le scale del condominio. Sono le 04:17 quando apri la porta della cantina. Ha la giusta temperatura per conservare vini, formaggi e salumi, enormi confezioni di detersivo in polvere e uno stock di provviste in caso di guerra nucleare. O almeno, questo è quello che immagini tengano i tuoi vicini. La tua è quasi vuota: soltanto una tanica di benzina e una collezione di armi da far invidia all’esercito.
All’arrivo dei vigili del fuoco ti fai trovare vestito e pettinato, hai preparato una borsa per Gaia e riempito il portapillole settimanale. L’edificio viene evacuato mentre fiamme e fumo si propagano nello scantinato fino a far scoppiare la caldaia.
Non sarà difficile risalire a te, alla scatola di fiammiferi e il beccuccio della tanica sotto il divano. L’assenza di scatoloni e la presenza dei mobili in casa.
Lo sfratto era previsto per l’indomani.
Non ci saranno vittime, soltanto il soriano della signora Moncada.
In carcere, sul taccuino scriverai: Mi dispiace per Nerone. Aveva un bel pelo.