Il potere delle cose | Davide Galipò

Continuava a far scorrere la cordicella fra le dita, come se fosse animata da un’illogica vitalità. Il fremito che provava al tatto era difficile da descrivere.
«È così che nascono le ossessioni», pensò.
Di certo aveva tenuto legato qualcosa, un manoscritto, un papiro o quantomeno lo aveva legato a qualcuno.
La vista e il tatto di alcunché avesse per lui significato li sentiva a primo acchito: lo differenziavano, sostanzialmente, da un qualsiasi altro oggetto per cui non nutrisse il benché minimo interesse. Perché, altrimenti, continuare a conservare vestiti logori e carte sgualcite, invece che destinarle all’immondizia?

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Villa Capriglio | Davide Bava

Mancava un’ora alle prime luci del mattino e dopo aver bevuto l’ultimo tè al pizza-kebab di Bibo, finivo il turno con il mio collega più giovane, Enrico. Riparcheggiammo la volante in Strada Traforo del Pino, per continuare il posto di blocco, questa volta però vicino ad un vecchio edificio derelitto, Villa Capriglio. Il mio collega si era appena addormentato, io fumavo fuori dall’auto.
«Mancano molti anni al pensionamento», pensavo, «e all’unica fortuna che ho: quella di essere armato». Potevo farla finita da un momento all’altro.
Sul lato opposto, dove finiva il curvone d’asfalto, stava arrivando verso di me, a ritmo lento, una processione di persone vestite di un nero funesto. Erano più di 30, il capobanda aveva una benda rossa sugli occhi, io rimasi impalato, perplesso, a fissarli con la paura che mi stava lussando i ginocchi dal tremore.

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