L’indicibile | Nicola Sacco

1.

Sonnecchia sulla sdraio in cucina, al buio, cullata dai lunghi fragori che rotolano sopra il tetto, nell’aria carica di elettricità. Fuori è rinforzato il vento.
Gli occhi le hanno ceduto mentre assistevano, attraverso la finestra, alle mutazioni di scena nel cielo notturno visibile nella porzione lasciata libera dalla torre anni settanta che sale dall’altro lato della strada. Le immagini impresse sulla retina transitano nel torpore, che le reinventa:

la luna è un motivo nascosto dietro masse di nubi color pulpite cronica che si sovrappongono una all’altra, si stracciano, si ridispongono a mucchi di carie e formano enormi, necrotiche zanne del giudizio pendenti dalla volta celeste.

Cambia tutto.
I nuvoloni compongono un ovale nero, femminile. Compongono una mano che si avvicina all’ovale, lo tocca, ne afferra la chioma corvina.
Poi l’arto si stacca dalla testa di donna portandosi via una gigantesca manciata di capelli.
No, è lo scalpo.
La nuvola teschio di donna si sfrangia al centro. Una bocca si spalanca, al centro della nuvola teschio di donna, per lanciare un urlo.
Tuona forte.

2.

Innocenza galleggia ancora in un sonno leggero quando percepisce dietro le palpebre un infittirsi dell’oscurità. Devono essersi spenti i lampioni sulla strada. Perfetto. Nel black-out, quando dalle finestre dell’abitato ammiccano i lumi delle torce, dei display, delle candele, la sua casa finisce per incavernarsi del tutto.
Un’improvvisa diffusione di luce la richiama alla realtà. Apre gli occhi: nella ramificazione del fulmine la sua dimora, ogni suo contorno, sono illuminati a giorno.
Cristomoi.
Resta immobile con gli occhi sbarrati, in allarme.
Da quando quella demente di Vita le ha strappato tutte le tende è la stronza luce il suo problema, non quell’esplosione tremenda che arriva ora a squassare muri, pavimento, vetri. Anche un secondo, un solo puttano secondo di luce inattesa, mentre è lì al buio in casa, a riposarsi beandosi d’aver perfezionato la mimesi del suo regno con le tenebre, può compromettere tutto.
Perché il ragazzaccio che fa il palo sulla strada fingendo di godersi una fumata notturna potrebbe scorgere, nel bagliore improvviso, torme di ratti impazziti e ben nutriti su per i pini del suo viale. O perché l’inquilina impicciona del quarto piano della palazzina anni settanta i cui balconi più alti guardano sul fianco della sua casa, e che ha fatto del suo appartamento proprio la postazione di una cecchina,  magari sta fissando proprio la finestra della sua cucina e domani si sciacquerà la bocca con il vicinato, ricamando che è stato un attimo ma l’ha sorpresa, Innocenza Sblendorio, stravaccata sulla sedia a sdraio con una smorfia di piacere sotto quei suoi occhiali da calabrone.
Non va bene. Non deve trapelare mai più nulla prima che lei abbia completato l’opera.
Tempo al tempo e tutto sarà oggetto di una sua volontaria ostensione: rovina, crollo, creature ripugnanti a motore. Altro che ecosistema dei miei coglioni, Corra’, biodiversità e biribìm biribàm, vatt’a còreche, Corra’, tu e lo straordinario patrimonio arboreo e le cinque nuove specie di invertebrati che ci hai contato, nel nostro canalone, ci hai cinquant’anni, ciuccione grande d’un figlio, stai sempre lì a contare i minuicchi e manco una responsabilità sopra alla schiena. Continua pure così, tanto sta già scritto. Sta scritto che qui ci atterrerà la asl. Sì proprio quella asl che nulla ha mai avuto da dire sulla vergogna del campo ter. Ci atterrerà magari in compagnia di altre autorità. E quello sarà il momento. Sarà un brutto momento, di paragoni e di rinfacci, sarà tutto quello che volete, la casa che cade a pezzi, i figli che stanno come stanno, cristemadonne. E ma grazie al cazzo. Avete permesso che il camposanto diventasse un fognone che non si può vedere, mio marito seppellito in una discarica, e mo’ venite a sfruconare qua dentro? Con che faccia? E sta bene, venite, venite pure a vedere cosa cazzo avete combinato, avanti, prego, eccellenze, avanti. Verificatevi ‘stammerda mo’.
Li scorticherà di rimproveri.

E in mezzo a tutto questo teatrino mostrerà con segreto compiacimento le macerie frutto del ventre suo. Il passaggio dalla rovina alla gloria per allora sarà orchestrato in modo magistrale.

Ma non prima del tempo, non questa notte, non ora, luce porca. Ora è prematuro. Un’anticipazione di schifo che aggiungerebbe solo vergogna a vergogna.
A lento rilascio, si ripete Innocenza. A lento rilascio, dev’essere.

3.

Invece l’impicciona del quarto dorme e a vagare ubriaco nell’oscurità c’è solo lo sguardo di Sebastiano Colavecchia, l’inquilino ancora sveglio che occupa da solo l’appartamento al quinto piano della palazzina anni settanta.
Se ne sta alla finestra, completamente scervellato per via di una brutta bronchite che ha preteso di curare con suffumigi a base di sconsiderate dosi di grappa.
Fino a un minuto prima era sul divano letto, dove aveva pensato di disarticolarsi mentre partiva un VHS di Pina Caratore. Con la nebbia nel cervello e l’uccello in mano, mentre scorrevano le immagini del nazierotico, si stava facendo strada un’erezione insperata. Sulla scena d’amore di Pina col nano il cazzo era completamente intostato, il pugno chiuso attorno, dai e dai, lo sburro si smuove nella sua riserva, dai e pim! Il black-out gli ha tolto il giochetto.
Si era alzato scazzatissimo, budella e sentimento incasinati più di prima, e si era messo a guardare fuori. Fuori, dove ora la fulminazione continua strappa al buio fotogrammi di case basse, imbiancate a calce, e piante gigantesche piegate dal vento. Squarci di una realtà più intensa guizzano subito risucchiati da una tenebra onnivora.
Poi succede. Nella luce che si verticalizza fulminea tra cielo e terra, Seba scorge laggiù un volto, dietro il finestrino del bagno, raggelante. Uno spettro, con i capelli che pendono dalla testa a ciuffi sporadici, tutto bianco come un cencio, gli occhi e la bocca spalancati di chi sta assistendo a uno spettacolo spaventoso. E sta guardando lui. Le mani a tappare le orecchie, come a non voler sentire neanche se stessa. Per quanto tenda istintivamente il suo, di orecchio, quello resta per Seba un urlo senza suono.
Si fa di nuovo tutto nero. Tuona forte.
Vita…
Un paio di pipistrelli in volo tracciano i loro ultimi cerchi psicotici davanti al suo naso. Una sostanza cattiva gli paralizza nervi e cervello. Col sudore ghiacciato gli fluisce via tutta la ciucca, ma ora gli sembra di essere rimasto vittima di un’intossicazione più capillare.
Cade qualche gocciolone di pioggia.

Il temporale rumoreggia ancora un poco e passa oltre i caseggiati senza fare altri danni, e come rispondendo a un direttore d’orchestra che abbia ordinato a tutti gli strumenti di silenziarsi all’unisono, anche il vento cessa di colpo.

Infine sale la preghiera che il mondo non sia mai esistito davvero oltre l’abbraccio materno a un nano nudo e deforme.

4.

Nella strada c’era gente che si chiedeva che diamine fosse quella puzza tutta nuova. Molti si lamentavano che era penetrata nelle loro abitazioni. Un fetore spesso e grasso che irritava le vie respiratorie, faceva uscire gli occhi da fuori, strozzava. Il panico dilagava per le strade. I bambini vomitavano; uomini di mezza età, già preoccupati del proprio cuore, temevano terrorizzati crisi cardiache letali. Nausea e capogiri che una donna incinta quasi abortiva.
C’era in strada pure un ragazzo sceso dalla palazzina ad angolo. Compose il numero della locale compagnia dei carabinieri e, quando i militari arrivarono sul posto, insieme a tutti gli altri si mise a indicar loro il punto da cui proveniva l’alito di gabinetto.
Il ragazzo giurava di aver visto i muri esterni della casa trasudare liquidi fecali. No, seminali. No scusate, fecali, fecali. I due carabinieri corsero lungo il viale, arrivarono sul pianerottolo con le mani a mascherina sul volto e gli occhi lacrimanti. Suonarono. Niente. Suonarono e picchiarono alla porta. Ancora niente. Forzarono la porta e si ritrovarono coi piedi in un pantano scivoloso. Merda. Merda e silenzio. Merda e nessuno. Si lanciarono un’occhiata d’intesa: era successo altre volte di sorprendere intere famiglie in uno stato di degrado simile. Altre volte, uomini e ricchioni, disperati, si erano ridotti a non uscire più dalle loro tane, abbandonandosi completamente, finendo con lo smerdare casa in ogni angolo.
Dentro la casa uno dei due carabinieri aprì una porta. C’era un ragazzo steso a pancia in giù a crogiolarsi nella pleplea. Muoveva a rana le braccia per dipartire i liquami densi e lasciare libera una porzione del pavimento. Lo osservarono un poco per capire. Dopo qualche bracciata quello iniziò poi un lavoro certosino di sistemazione di traversine e regolazione dello scartamento tra rotaie.
Gli uomini in divisa entrarono poi nel cucinino. Una signora tutta ritorta su una sdraio annerita dalla dissenteria, rantolava nel sonno.
Uno le premette due dita su un braccio, come per scrollarla delicatamente.
– Eh, che c’è? – Innocenza riemerge dall’incubo. Si ritrova davanti un giovane carabiniere. Ed eccone un altro subito dietro.
– Signora, cortesemente, ci mostra la camera di sua figlia Vita?
– Ma è presto.
– Sono le undici e un quarto, signora. È presto per lei a quest’ora?
– Voglio dire… non è il momento.
– Signora, per cortesia.
Innocenza squittisce cristomoi cristomoi, rassegnata a fare strada ai militari attraverso la casa ancora immersa nell’oscurità. Lungo il corridoio, verso camera di Vita, il giovane carabiniere si arresta all’improvviso. Qualcosa dalla stanza di Corrado ha catturato la sua attenzione. Torna due passi indietro, si affaccia: il ciuccione grande è in ginocchio, curvo sui suoi trenini senza allacciamento elettrico, che fa tutto concentrato ciuf-ciuf con la bocca. Avvertendo delle presenze inconsuete, Corrado alza la testa e le fissa come da un mondo remoto.
– Beatatté, Corra’ –, dice Innocenza e il gruppo riprende a muoversi verso la stanza di Vita.
Arrivati di fronte all’ultima porta in fondo al corridoio si bloccano raggiunti dalla voce di Corrado modulata su un lungo belato: – Hanno girato la manigliaaaa?
I carabinieri e Innocenza si squadrano, poi è il più anziano che si decide a girare la maniglia e subisce un rinculo che lo lascia pietrificato. È un’onda d’urto di buio e fetore.
– Ma che ca…
– Cristomoi – fa Innocenza alle sue spalle.
Trovato a tentoni l’interruttore, la luce si mette a tremolare. La stanzetta lampeggia davanti agli occhi. A intermittenza si svelano pezzi di vergogna, di una realtà che smania per non farsi riconoscere.
– Ossignore onnipotente – L’anziano scuote il capo.
– È tutto vero quel che dicono – mormora il più giovane.

Illustrazione di Robbie Porter