Palestinapoli | Il cuore d’Italia solidale con Gaza

In questo esatto momento, mentre inizio a scrivere in un bar di Napoli, una donna al bancone dice: “Sto così così, con le cose che succedono nel mondo. C’è gente che non gliene importa, ma a gente come a me e come a te sì”.
Il rifiuto del genocidio si è insinuato, piano piano, come acqua, nelle emozioni quotidiane, ed è esondato nelle manifestazioni di piazza. È anche l’effetto di un rapporto, quello fra Napoli e la Palestina, che si è rinsaldato negli anni, grazie a centri sociali e università, a librerie e case editrici, ad artisti e studiosi, a bar e ristoranti: in generale, al cuore pulsante della città.

Manifestanti in corteo per Gaza a Napoli mostrano uno striscione per la Sumud Flotilla

Adesso, dopo la non-pace imposta dalle armi statunitensi “usate bene” da Israele, ci si chiede come continuare a protestare contro l’apartheid sionista, come reagire alla speculazione edilizia sul sangue dei morti, come schierarsi, una volta ancora dopo decenni di lotta, contro il saccheggio colonialista applaudito dal governo italiano.

A Napoli, come in altre città italiane, c’è stata un’adesione di massa ai due scioperi nazionali: ogni volta sulle cinquantamila persone, corso Umberto strabordante, “Bella ciao” e schiena dritta a ritmo di percussioni, Piazza Plebiscito piena di bandiere, studentesse e studenti colorati, vecchi e giovani militanti dagli sguardi stupiti. Ogni interazione umana, nei giorni della protesta in strada, è stata lontanissima dai titoli dei media allarmisti, dalla demonizzazione della partecipazione di piazza, da millenarie paure. Eppure, anche una parte di Napoli si è preoccupata per il graffito di troppo, per il “weekend lungo” sbandierato dalla presidente Meloni o perché bisognava abbassare i toni, come se si dovessero abbassare i toni di fronte ad un genocidio, perpetuato anche con armi italiane. Una Napoli ancora peggiore, poi, ha messo un carro armato dell’esercito israeliano in prima pagina e, senza vergogna, l’ha paragonato a quelli degli alleati che liberarono l’Europa dal nazifascismo.

Manifestante durante il corteo del 22 settembre 2025 a Napoli

Fra i due grandi scioperi ci sono state diverse manifestazioni più piccole, lungo via Toledo, in stazione per bloccare i binari, nei licei occupati, all’Università Federico II, per decidere, nella stanchezza della tarda serata, cosa fare il giorno dopo.

Manifestanti all’imbocco dell’autostrada verso il porto di Napoli, 2 ottobre 2025

Migliaia di persone sono andate al porto per bloccare l’arrivo di una nave merci israeliana e hanno sfilato di sera, prima in poche centinaia, poi mille, duemila, tremila. Hanno bloccato via Marina e si sono trovate, in un silenzio compatto, davanti alla polizia schierata mentre soffiava il primo vento freddo, all’uscita dell’autostrada vicino al porto. In un certo senso prendere una posizione è voluto dire riprendersi la città, camminare dove non si è mai camminato, e farlo insieme.

Manifestanti al porto di Napoli durante il blocco di una nave israeliana

Mentre il corteo avanzava su via Marina, da dentro la guardiola di una pompa di benzina un ragazzo senegalese applaudiva i manifestanti, si portava le mani al cuore e diceva solo “grazie”. In cambio riceveva baci. E tutto questo è stato delegittimato, demonizzato e capovolto, perché ignorarlo proprio non si poteva.

Illustrazione di Amy Anderson

Alberto Bile Spadaccini (1987) è un reporter, scrittore e traduttore napoletano. È autore di Una Colombia. Canzone del viaggio profondo (Polaris, 2017), Libri a dorso d’asino. Storie e strade colombiane (Dante&Descartes, 2016) e di Viaggio in Sithonia. Cammino nella Grecia che non c’era (Polaris, 2021). Ha tradotto, per Alessandro Polidoro Editore, L’oro e l’oscurità. La vita gloriosa e tragica di Kid Pambelé dello scrittore colombiano Alberto Salcedo Ramos. Ha scritto per «Erodoto108», «Nazione Indiana» e «Il Napolista». Cura per «Neutopia Magazine» la rubrica di reportage Aleph.

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