Decisamente meno consolante di quanto il titolo possa lasciare intuire, Disco per l’estate (Radiobluenote Records, 2022) è il nuovo progetto discografico di Luca Atzori che, dopo il progetto Almagesto, pubblicato sempre per Radiobluenote con le sonorizzazioni di Alessio Cannarozzo, decide di affidarsi a un altro membro della scuderia dell’etichetta torinese, SOFIA_, monicker di Sofia Spampinato, giovane catanese trapiantata a Torino. Dopo i due suoi singoli usciti la scorsa estate, nei quali SOFIA_ si era spostata dal computer al microfono, affidando le produzioni alle sapienti mani di Davide Bava, qui ritorna a un lavoro più simile a quello del suo EP di debutto, Cornici, nel quale le sue produzioni ospitano contributi di altri artisti, e solo in un caso compare la sua voce, qui presente solo a sostegno della strumentale o in alcune doppie. Parallelamente, anche per Atzori si osserva un processo simile: dopo un album come Almagesto, in cui la ricerca era votata esclusivamente alla potenza immaginifica del suono, raggiungendo il suo parossismo nella monumentale traccia di chiusura, Epiciclo, qui si ha un ritorno alla parola e al suo significato che richiama più il suo Iperrealismo Magico, album del 2020 realizzato in collaborazione con la contrabbassista Veronica Perego e gli studi torinesi BNDCKS. Riprendendo e sviluppando questi approcci che hanno già reso loro successo, Disco per l’estate è un joint-album veloce ma dal peso specifico notevole, nel quale entrambe le personalità artistiche mantengono la loro natura convergendo su un obiettivo specifico.
Già entrando nella prima traccia, Bonifacio, si percepisce infatti quell’atmosfera sottesa di angoscia che, emergendo in maniera più o meno chiara in ogni traccia, sia nell’impiantito sonoro di SOFIA_ che nei testi e nell’interpretazione di Atzori, accompagnerà l’ascoltatore lungo tutto un disco che si svela pian piano come una serie di tentativi più o meno falliti di evasione, che in alcuni casi sfociano direttamente l’uno nell’altro. Se il racconto della prima traccia, infatti, parla del desiderio solitario di spostarsi in altro luogo per sfuggire alle tensioni, la drum-and-bossanova Deltaplani racconta invece la fuga anestetizzante in un amore inconcludente e distratto che prova a canticchiare di sè senza tenere di conto le immagini minacciose che contiene dentro, tra cui il micidiale “silenzio a sonagli” che chiude il ritornello dell’unica traccia che, ad un ascolto meno attento, potrebbe non comunicare questa tensione dominante nell’opera. Le tre tracce successive, infatti, disvelano pian piano il malessere in maniera sempre più chiara: si parte dalla violenza delle immagini e dei segni in Clitennestra, in cui la figura femminile, idealizzata, esce dal mito e disvela tutta la sua pervasività allargandosi, raccontando coi termini di Eco nel suo Trattato di semiotica il percorso di un osservatore verso la sua ossessione (con un possibile richiamo anche al mondo della pornografia online, dall’ambivalenza del termine “finestra”, sia elemento architettonico che scheda del browser), passando poi per Les chansons de geste, che di questi segni ne denuncia sia l’ammorbante sovrabbondanza che confonde, sia l’opportunismo di chi li sfrutta per manipolare la percezione altrui della realtà, dal marketing alle fake news, per poi giungere a Torino di merda, in cui quest’ansia da soffocamento, stordita dal coro di segnali, esplode in un’invettiva che spalma questa tensione su tutte le pareti della città dove sia Atzori che SOFIA_ vivono da anni, fino a fare emergere nel fiume di parole i primi segnali (“Torino unica/quando scopri che è il mondo/una merda”) di quello che poi emergerà nella traccia seguente, in cui la voce di Luca si rifugia più indietro nel panorama sonoro per restituire le doppie e gli echi delle parole di Tito Sherpa, altro ospite ben conosciuto in casa Radiobluenote. Ne Il sintomo, ultima traccia in cui la parola compare (e non più quella di Luca, che prima di dissolversi dietro Sherpa si perde in un grammelot drill-trap ad inizio del pezzo), Tito traccia il ritratto di un personaggio che, nella confusione, realizza che quella pace di evasione tanto ricercata non può trovarsi, e che la vera fonte della tensione è che “sono io il Diavolo/che vede il Diavolo/su facce umane”. Dopo il disgregato termine della traccia, il disco si conclude con La guerra degli hippies, una traccia estremamente lo-fi, chitarra e voce, che riprende la melodia di Deltaplani svuotandola del testo.
Se uno dei fulcri centrali di questa narrazione è la varietà, la potenza, la pervasività e il fittissimo mutarsi degli stimoli di cui i personaggi di queste storie sono circondati, il lavoro sul suono e sull’interpretazione del duo si muove perfettamente lungo questo asse, con l’approccio già multiforme, cesellato e intragenere di SOFIA_ che in questo progetto sfodera una notevole quantità di approcci alla produzione fusi in un flusso unico nel quale tra mantra, casse Rotterdam, campionamenti da James Joyce (che apre Il sintomo con un pezzo da Annalivia Plurabelle, da Finnegans Wake), utilizzi non convenzionali della voce, piattini trap, synth roboanti ed un attento editing vocale su di Luca, l’interpretazione di Atzori si appoggia perfettamente, passando a sua volta da più e più terreni vocali, tra il canto, la cantilena, lo scream, il recitato lirico e quello grottesco, in perfetta coerenza non solo col tema ma anche coi testi che, se osservati, rivelano quanto lavoro ci sia stato nel fondere al meglio tutti questi stimoli, non aggrappandocisi pedissequamente ma concedendosi il lusso di modificare, di elidere, di ripetere – lavoro che già si è riscontrato negli scorsi lavori di Luca, peraltro, i cui testi sono tratti da libri editi e quindi utili per un confronto tra la pagina e l’ascolto. Questo percorso con finale aperto attraverso la caoticità sovrastimolante e violenta, generatrice di tensione, non poteva che prendere una forma sonora di questa natura, e SOFIA_ e Atzori in questo hanno colto nel segno.
BONIFACIO
sono ai piedi delle bocche di Bonifacio
lontano dall’industria e dall’entusiasmo
cosa faccio
vieni con me
porta il dolore
nella foresta
c’è una festa dove si fa tutti l’amore
tutto comincia con
l’incompetenza
la maggioranza è passiva
appesa sul balcone
ed io che sono un sasso
come tale consuono
appaio come un fiore
l’odore non scompare
la chiesa e il sesso
paragonato alla passione
per favore
il suo nome è l’ossessione
lo sento sul torace
vado via apro la porta
ci sono sogni che hanno mura così profonde
si ti otturano
lei ti insegue senza radici
e più tu scappi più ti illudi che le puoi estirpare
ma il regalo negli opifici del mio amore
svegliarsi pieni di rancore
così antico e così dolce
fissato con la calce
di angosce assolte
bigonce rotte sulla testa del tuo aggressore
sono ai piedi delle bocche di Bonifacio
lontano dall’industria e dall’entusiasmo
cosa faccio
vieni con me
porta il dolore
nella foresta
c’è una festa dove si fa tutti l’amore
Saint Paul ou le colosses
au pied de l’argile
ville de pietrobugno
ed ecco il dito