Un’evasione sofferta | Disco per l’estate di Luca Atzori e SOFIA_

Decisamente meno consolante di quanto il titolo possa lasciare intuire, Disco per l’estate (Radiobluenote Records, 2022) è il nuovo progetto discografico di Luca Atzori che, dopo il progetto Almagesto, pubblicato sempre per Radiobluenote con le sonorizzazioni di Alessio Cannarozzo, decide di affidarsi a un altro membro della scuderia dell’etichetta torinese, SOFIA_, monicker di Sofia Spampinato, giovane catanese trapiantata a Torino. Dopo i due suoi singoli usciti la scorsa estate, nei quali SOFIA_ si era spostata dal computer al microfono, affidando le produzioni alle sapienti mani di Davide Bava, qui ritorna a un lavoro più simile a quello del suo EP di debutto, Cornici, nel quale le sue produzioni ospitano contributi di altri artisti, e solo in un caso compare la sua voce, qui presente solo a sostegno della strumentale o in alcune doppie. Parallelamente, anche per Atzori si osserva un processo simile: dopo un album come Almagesto, in cui la ricerca era votata esclusivamente alla potenza immaginifica del suono, raggiungendo il suo parossismo nella monumentale traccia di chiusura, Epiciclo, qui si ha un ritorno alla parola e al suo significato che richiama più il suo Iperrealismo Magico, album del 2020 realizzato in collaborazione con la contrabbassista Veronica Perego e gli studi torinesi BNDCKS. Riprendendo e sviluppando questi approcci che hanno già reso loro successo, Disco per l’estate è un joint-album veloce ma dal peso specifico notevole, nel quale entrambe le personalità artistiche mantengono la loro natura convergendo su un obiettivo specifico.

Già entrando nella prima traccia, Bonifacio, si percepisce infatti quell’atmosfera sottesa di angoscia che, emergendo in maniera più o meno chiara in ogni traccia, sia nell’impiantito sonoro di SOFIA_ che nei testi e nell’interpretazione di Atzori, accompagnerà l’ascoltatore lungo tutto un disco che si svela pian piano come una serie di tentativi più o meno falliti di evasione, che in alcuni casi sfociano direttamente l’uno nell’altro. Se il racconto della prima traccia, infatti, parla del desiderio solitario di spostarsi in altro luogo per sfuggire alle tensioni, la drum-and-bossanova Deltaplani racconta invece la fuga anestetizzante in un amore inconcludente e distratto che prova a canticchiare di sè senza tenere di conto le immagini minacciose che contiene dentro, tra cui il micidiale “silenzio a sonagli” che chiude il ritornello dell’unica traccia che, ad un ascolto meno attento, potrebbe non comunicare questa tensione dominante nell’opera. Le tre tracce successive, infatti, disvelano pian piano il malessere in maniera sempre più chiara: si parte dalla violenza delle immagini e dei segni in Clitennestra, in cui la figura femminile, idealizzata, esce dal mito e disvela tutta la sua pervasività allargandosi, raccontando coi termini di Eco nel suo Trattato di semiotica il percorso di un osservatore verso la sua ossessione (con un possibile richiamo anche al mondo della pornografia online, dall’ambivalenza del termine “finestra”, sia elemento architettonico che scheda del browser), passando poi per Les chansons de geste, che di questi segni ne denuncia sia l’ammorbante sovrabbondanza che confonde, sia l’opportunismo di chi li sfrutta per manipolare la percezione altrui della realtà, dal marketing alle fake news, per poi giungere a Torino di merda, in cui quest’ansia da soffocamento, stordita dal coro di segnali, esplode in un’invettiva che spalma questa tensione su tutte le pareti della città dove sia Atzori che SOFIA_ vivono da anni, fino a fare emergere nel fiume di parole i primi segnali (“Torino unica/quando scopri che è il mondo/una merda”) di quello che poi emergerà nella traccia seguente, in cui la voce di Luca si rifugia più indietro nel panorama sonoro per restituire le doppie e gli echi delle parole di Tito Sherpa, altro ospite ben conosciuto in casa Radiobluenote. Ne Il sintomo, ultima traccia in cui la parola compare (e non più quella di Luca, che prima di dissolversi dietro Sherpa si perde in un grammelot drill-trap ad inizio del pezzo), Tito traccia il ritratto di un personaggio che, nella confusione, realizza che quella pace di evasione tanto ricercata non può trovarsi, e che la vera fonte della tensione è che “sono io il Diavolo/che vede il Diavolo/su facce umane”. Dopo il disgregato termine della traccia, il disco si conclude con La guerra degli hippies, una traccia estremamente lo-fi, chitarra e voce, che riprende la melodia di Deltaplani svuotandola del testo.

Se uno dei fulcri centrali di questa narrazione è la varietà, la potenza, la pervasività e il fittissimo mutarsi degli stimoli di cui i personaggi di queste storie sono circondati, il lavoro sul suono e sull’interpretazione del duo si muove perfettamente lungo questo asse, con l’approccio già multiforme, cesellato e intragenere di SOFIA_ che in questo progetto sfodera una notevole quantità di approcci alla produzione fusi in un flusso unico nel quale tra mantra, casse Rotterdam, campionamenti da James Joyce (che apre Il sintomo con un pezzo da Annalivia Plurabelle, da Finnegans Wake), utilizzi non convenzionali della voce, piattini trap, synth roboanti ed un attento editing vocale su di Luca, l’interpretazione di Atzori si appoggia perfettamente, passando a sua volta da più e più terreni vocali, tra il canto, la cantilena, lo scream, il recitato lirico e quello grottesco, in perfetta coerenza non solo col tema ma anche coi testi che, se osservati, rivelano quanto lavoro ci sia stato nel fondere al meglio tutti questi stimoli, non aggrappandocisi pedissequamente ma concedendosi il lusso di modificare, di elidere, di ripetere – lavoro che già si è riscontrato negli scorsi lavori di Luca, peraltro, i cui testi sono tratti da libri editi e quindi utili per un confronto tra la pagina e l’ascolto. Questo percorso con finale aperto attraverso la caoticità sovrastimolante e violenta, generatrice di tensione, non poteva che prendere una forma sonora di questa natura, e SOFIA_ e Atzori in questo hanno colto nel segno.

BONIFACIO 

sono ai piedi delle bocche di Bonifacio 
lontano dall’industria e dall’entusiasmo 
cosa faccio 
vieni con me 
porta il dolore 
nella foresta 
c’è una festa dove si fa tutti l’amore 

tutto comincia con 
l’incompetenza 
la maggioranza è passiva 
appesa sul balcone 
ed io che sono un sasso 
come tale consuono 
appaio come un fiore   
l’odore non scompare 
la chiesa e il sesso 
paragonato alla passione 
per favore  
il suo nome è l’ossessione 
lo sento sul torace 
vado via apro la porta 
ci sono sogni che hanno mura così profonde 
si ti otturano 

lei ti insegue senza radici 
e più tu scappi più ti illudi che le puoi estirpare 
ma il regalo negli opifici del mio amore 
svegliarsi pieni di rancore 
così antico e così dolce 
fissato con la calce 
di angosce assolte 
bigonce rotte sulla testa del tuo aggressore 

sono ai piedi delle bocche di Bonifacio
lontano dall’industria e dall’entusiasmo
cosa faccio
vieni con me
porta il dolore
nella foresta
c’è una festa dove si fa tutti l’amore 

Saint Paul ou le colosses 
au pied de l’argile
 
ville de pietrobugno 
ed ecco il dito

Disco per l’estate
radiobluenote records, 2022
testo e voce di luca atzori
produzione e voce di sofia_
Copertina di Eleonora Ballarè

Quel che c’è oltre il quadro | Cornici di Sofia_

L’ultima uscita di Radiobluenote Records, Cornici di Sofia_, ritorna nel solco già tracciato dagli altri progetti a più voci a cui l’etichetta ci ha abituato coi precedenti Poesie Per La Dora, Vouyerismo e Fiori Per Una Visita, stavolta però proponendo una variazione prima di tutto dal punto di vista musicale, che conseguentemente imprime all’opera una evoluzione dal punto di vista stilistico.

Per quanto si sveli in prima persona come liricista e voce nel primo singolo estratto dall’EP, Ho Visto, quello di Sofia Spampinato, catanese classe ’97 trapiantata a Torino, è prima di tutto l’album di una produttrice. Le strumentali, pur conservando stilemi dei generi dai quali le influenze appaiono chiare (house, hip-hop e trap in primis) sono elaborate in maniera molto personale e, soprattutto, sembrano calzare perfettamente sulle spalle degli ospiti, come vestiti su misura.

Si parte con Tito Sherpa, ospite ormai di casa nelle produzioni Radiobluenote, sotto cui a fine 2020 ha anche fatto uscire il suo album d’esordio, Serotoninja, che nella traccia d’apertura si concede una esplorazione più delicata delle potenzialità della sua penna, complice non solo la morbidezza della strumentale, ma anche la scelta delle immagini. Tra queste, l’accenno agli “amici andati” si ricollega a stretto filo con l’ultimo brano, Vicini, un titolo che è un tributo. All’ascolto si tratta di una strumentale sulla quale vengono ospitati diversi maestri dello scratch che Sofia_ ha conosciuto in prima persona, ma appena superato il primo pensiero, quello del poter riunirsi sulo stesso beat in un momento storico in cui è impossibile fare altrimenti, è la profondità della traccia che lascia risuonare qualcos’altro, una mancanza per cui stringersi assieme, qualcosa che se n’è andato lasciando come tracce catene e nastri, come l’immagine che la piccola poesia che si forma unendo i titoli dell’EP suggerisce. I nastri che ancora custodiscono musica, la catena di trazione di un giradischi ferma, mossa come tributo da altre mani.

Le tracce proseguono, e tanta è l’abilità di Sofia_ di plasmarsi sull’essenza dei suoi ospiti senza snaturarsi che quasi sembra che anche in Ho Visto la voce sia di un’altra persona. Si passa dalla meditativa penna di Parsione al fuoco interiore di Matyta Negra in un batter d’occhi, con una naturalezza che è raro trovare in progetti simili, che fanno degli ospiti il fulcro centrale della narrazione: il piccolo EP di Sofia_ ha l’equilibrio spontaneo di un qualcosa che, accomunando più parti, non cancella la presenza di una radice comune, presente e nutriente. Non è la ricorsività di temi come la natura, il silenzio, gli angeli o la luce, nè la presenza di una sola prodruttrice, a dare forma a quest’impasto. Come nei lavori di Davide Bava, fondatore dell’etichetta, il legame più profondo che lega Cornici agli altri progetti di Radiobluenote è quello di una regia unitaria che riesca a suggerire a monte un mood, un processo, un immaginario, e questo compito è questa volta (auto)affidato a Sofia_, perfettamente immersa in questo ruolo, ancora prima che in quello della produzione, della scrittura o della voce. Come nella copertina di Controsenso, quello che appare non sono solo i quadri dei brani col beat a fare da cornice: la protagonista è la stanza vuota, l’ambiente, ciò in cui ogni cosa è accolta e contestualizzata.

(Isidoro Concas)

IERI (FT. TITO SHERPA)

“Non l’ho dimenticato, era ieri!”

Ieri eravamo ciascuno nella propria bollicina
e ci telefonavamo o ci tenevamo compagnia
con messaggini in privato

Non l’ho dimenticato, era ieri

Fuori era come l’eruzione invisibile
di un vulcano silente

Ballavano al vento morbidi vetri delle finestre
scaldati dal sole cocente
macchiati di magma fosforescente

Magma innocuo, peraltro
e proprio per questo
terribile.

I dati del meteo avevano previsto tutt’altro
“‘sti metereologi non capiscono un cazzo”, pensammo
perché i sogni ingannano se tenuti troppo in conto
e gli incubi si avverano se ignorati troppo a lungo

Parlavo al mio angelo
da un buco in un albero
radici che immagino partano
dal mio esofago

Sembrava come quando
il freddo e il caldo danzano
e le correnti si dipanano
e mille semi che si spargono

Pollini di amici andati
nei liberi arbitri tra
rispetto e respiri, poi
crescono fiori nei vasi sanguigni, poi
sono luce che si propaga nei nostri pensieri, ma

è nuovo questo tuo mondo
o era un altro giorno?

But you don’t forget it
era solo ieri

Sofia_ Cornici © Radiobluenote Records (2021)
Produzione e mix Sofia_
Masterizzazione e video BNDCKS
Testi di Sofia_ e Tito Sherpa
Copertina Controsenso

Serotoninja di Tito Sherpa | L’underground fuori dalla città

Tito Sherpa, con Serotoninja, offre uno sguardo deciso sulla possibilità di fare rap lontano dalla città. Con un’attitudine hardcore, esprime concetti intensi e complessi con immagini forti e fantasiose e un impianto aforistico che è tra le radici del suo linguaggio, in un flusso continuo e serrato che non evita giochi linguistici e metrici per la fluidità della narrazione, ma li include senza forzature in uno stile equilibrato.

Background e attitudine. Che si tratti di rap o stand up comedy, di poesia o di un convegno, quando qualcuno prende un microfono deve misurarsi con questi due presupposti, che interpolati con molti altri rendono un testo ed un concetto efficace sulla bocca di qualcuno, su altri no: è da loro che conseguono gli argomenti, i significati, le estetiche e l’immaginario, non il contrario. La nascita di un genere spesso è accompagnata proprio da un profondo accordo d’attitudini tra act che condividono background simili – e, non a caso, molto spesso il concetto di “scena” è determinato da un luogo, non solo da un tempo, ben preciso. Ma come suona il rap che non arriva dalla metropoli ma dalla Val Pellice, un rap nutrito dalle radici di una natura di cui si intravvede un mistero, un misticismo, un’ombra scura da calcare con rispetto, come i passi su un tatami?

Sherpa, all’anagrafe Tito Pasini, non risparmia colpi: concetti intensi e complessi, espressi con immagini forti e fantasiose ed un impianto aforistico che è tra le radici del suo linguaggio, in un flusso continuo e serrato che non evita giochi linguistici e metrici per la fluidità della narrazione, ma li include senza forzature in uno stile equilibrato. Gli immaginari che fa confluire sono appunto figli di quella coerenza tra background e attitudine, e non c’è nulla da stupirsi di una traccia come Fümisia dove “hood” rima con “pintun” (in piemontese, gran bottiglia di vino), né di sentire nella stessa strofa invettive sia ai “sucker sulle Mini Cooper” che ai “poeti che si danno come prostitute”. Parole che suonerebbero difficilmente sensate e veritiere in altre bocche, sono invece i caratteri fondamentali della penna di Tito, che conscio della rara varietà che rappresenta si permette di esprimerla nel suo più fiorito eclettismo.

L’abilità della penna di Sherpa è tale da non far rendere conto degli accorgimenti che in ogni brano opera per accordarsi alla natura profonda degli artisti con cui collabora, sia nei numerosi featuring che nella varietà delle produzioni: la solida base autoriale dalla quale Tito scrive gli permette di spostarsi di traccia in traccia con una facilità clamorosa, in una tracklist che propone degli accostamenti assai arditi che altrove sarebbero ingiustificabili ma che qui sono retti dal fil rouge della sua scrittura, come quello dal beat chillone di Lindo, prodotto da Vea, alla cassa dritta di Rimescolando, prodotta da Phine, che già si era preso cura della maggior parte delle strumentali dei suoi scorsi due mixtape. Ed è anche nelle collaborazioni che rientra il discorso del background: quelli di Serotoninja non sono accostamenti posticci, ma connessioni che hanno radici profonde nella storia di Sherpa. Se per Parsione, Naga e Phine c’è una unità d’intenti con Sherpa che va oltre il collettivo LMSTCNZ ed abbraccia l’intera crescita dei quattro nella stessa valle, con ognuno degli altri artisti presenti nel disco c’è una storia dietro, sincera, tra le quali vale la pena di sottolineare quella di Brownie e Davide Bava, coi quali Tito partecipa con fitti contributi in ogni progetto musicale dell’etichetta di sperimentazione poetica Radiobluenote retta dallo stesso Bava, sotto la quale anche Serotoninja è stato pubblicato.

È per queste ragioni che, nonostante un impiego di sforzi complesso e vario, un lavoro come quello di Tito Sherpa suona così organico e fluido al punto da portarti al termine del suo viaggio con una sensazione che valica quella dei testi o quella musicale e che parla direttamente della sua radice: come i rami del primo singolo estratto da Serotoninja, Uomini di Vimini, Sherpa fa bruciare la struttura-cesto dei suoi brani, e con essa lui stesso, liberando la sua natura. Rimane l’aroma, la sua presenza. Nonostante barre e ritornelli memorabili, quello che prima di tutto rimane in testa è quello che Tito ha voluto imprimere in ogni singola traccia: la sua essenza.

(Isidoro Concas)

Uomini di vimini

Uomini di vimini intrecciati ai nostri limiti
cerchiamo vie di fuga
come rami di glicini

Uomini di vimini tra crimini, piccoli brividi
per sentirci liberi dai limiti

Uomini divini che han paura a stare soli
e si accollano
come uomini di vinavil

Uomini cavi, il vento ci attraversa, crea sibili
in ‘sta cesta ci sta il vuoto
che se lo guardi
ci passi di vertigini.

Polveri sottili
poveri respiri
ai posteri sospiri
e fosfori, libri fossili, parole immobili
si mischiano in un potpourri di mormorii

Ascolto i moniti di vecchi iracondi
Saperi reconditi di moribondi
mi dicono muoviti, stai più sul ritmo
lo faccio con l’hip-hop
lo faccio convinto
mi guardano attoniti, mi dicono togliti
‘sta vita è fatica
latte materno nei gomiti

Gentili ospiti
ho finito i fondi di pazienza
bevo assenza, anch’io assolvo i compiti di sua altezza
in cielo stormi di corvidi, corpi di fumi tossici
soli multipli, fulmini, inneggiano alla grandezza
Fin dai culmini, dall’ABC
ai lati di spazi conici
osservo i personaggi più iconici
sto ai vertici di vortici di vizi
spinto dai pregiudizi, in punta di piedi su precipizi
in bilico sugli alluci non temo di cadere
cosciente che nel vuoto starei finalmente bene

Uomini di vimini, intrecciati ai nostri limiti
Cerchiamo vie di fuga come rami di glicini

Uomini di vimini, agglomerati di simili
In scatoli fragili, instabili agli infiniti stimoli

Uomini cavi, il vento ci attraversa, crea sibili
in sta cesta ci sta il vuoto
che se lo guardi
ci passi di vertigini.

Il ramo per natura punta al cielo
ma se lo si adopera crea un cesto
L’uomo per natura punta il dito
forse si accorgerà di puntare sè stesso
L’uomo che per natura ha ovunque il suo riflesso
e forse prenderà quel vecchio cesto
lo brucerà, e i rami per natura punteranno al cielo
e tornerà tutto a posto

Federico incompreso
Superomismo frainteso
l’uomo divino prende integratori e controlla il suo peso
ma è la mancanza di responsabilità il vasto dramma
per questo quando s’infiamma subito chiama sua mamma
per orgoglio personale tratta male ogni suo affare
manda a fare in culo chi lo potrebbe salvare
è un prodotto del marketing, tinte di finte skills
occhiali scuri a mascherare i suoi impeti

Non hai capito chi hai davanti, come con Amleto
che invece ha capito suo zio, quale sia il suo concetto di “mio”
non aspetto tu sia vecchio, non c’è veleno né orecchio
bastan le giuste parole appena accennate per tempo
parlo del vero, crolla il tuo credo
e apri quell’occhio

Non metto lenti perché non mi oscurino il terzo
zero occhiale nero se non temo quel che penso
ascoltavo solo Piero che allenava giù al campetto

Il ramo per natura punta al cielo
ma se lo si adopera crea un cesto
L’uomo per natura punta il dito
forse si accorgerà di puntare sè stesso
L’uomo che per natura ha ovunque il suo riflesso
e forse prenderà quel vecchio cesto
lo brucerà, e i rami per natura punteranno al cielo
e tornerà tutto a posto

Singolo tratto dall’album SEROTONINJA
Radiobluenote Records, 2020
Testo e voce: Sherpa
Produzione: Phine
Grafica: Davide Bava

Le finestre sul cortile: voyeurismi in clausura

La poesia è poesia quando porta in sé un segreto.

— Giuseppe Ungaretti

L’epopea di Radiobluenote, l’organismo che da nove anni evolve e si trasforma tra le mani di Davide Bava, verso la sua nuova forma di etichetta partoriente progetti tra poesia e musica, prosegue con un’altra opera collettiva, Voyeurismo, realizzata interamente durante la quarantena da Covid in meno di un mese. Ed è proprio quello il fil rouge che collega i quadri di questa galleria privata: più o meno sotterraneamente, il virus sta – come nella copertina, minimale – emergendo dal titolo con piccoli numerini. L’opera è dichiaratamente pensata per una fruizione privata, in casa. Al chiuso, soli, come le immagini intime proposte: nel momento in cui il privato è imposto, il virus è l’osservatore e noi diventiamo osservati, ed il mostrarsi diventa consapevole, come pubblicarsi in un progetto. Ecco il voyeurismo.

Lo spogliarsi consapevoli dell’altrui sguardo viene poi declinato dalle diverse voci, come in un varietà, in stili e declinazioni diverse – l’unico denominatore comune è quel “segreto” a cui viene affidata l’intro del disco, quella parte non svelata tanto importante sia nella poesia che nella scopofilia. Quella fiamma che rende l’esposto eccitante ma non gratuito, il filtro del vivido che fa superare il bias della volgarità per aprirsi al realismo, provocatorio e crudo, che impatta. Dallo scambio di sguardi alla finestra col vicino al sesso telefonico, dagli omicidi per la convivenza forzata alle camminate avvolti nel nero della notte, da cui emergono i sogni, le paure. Resistenza forzata.

Le voci radunate nel disco sono un accordo di note che corrono in direzioni diverse: l’ironia degli scratch di Gibbo su Autoerotismo e la pesantezza che dipinge Tito Sherpa quando canta “Bava mi trascina nel suo inferno da distante, vai a ‘fanculo, stavo meglio senza farmi più domande”, il grottesco monologo di Jorge Casih e la dolcezza della voce di Brownie nel descrivere “la voluttà che esonda dentro la cornetta” in una chiamata sporca, la penna realista di Brattini e quella sognante di Loredana Iannizzi fino alla voce di Luca Atzori, che nelle sue pieghe calde e liriche nasconde polle di ironia acida, a quella di Flesha San col suo spaccato acido di intimità, e a quella di Bava stesso, motore generatore dell’opera, suo regista non nascosto che, a sua volta, prende il suo spazio in due camminate offrendo il suo sguardo – come uno specchio rotto nella spazzatura – e lo riunisce agli altri sul bordone inconfondibile delle sue produzioni dal sapore definibile, su cui la coralità delle voci assume un colore comune, per raggiungere qualcosa che un solo punto di vista non può dare. ‘Na pianola an’ suna da sula la partitura.

E quando si parla di “sapore definibile”, che si intende? Il lavoro di Davide Bava non sta solo nel produrre strumentali che sudano ad ogni kick l’odore di Porta Palazzo, e neanche nella scelta degli ospiti, nell’orchestrare i loro interventi, nell’unirli in una sola opera con sprazzi di sonorizzazioni di Marzio Zorio gentilmente estrapolate dalla sua Diaries from a Jar, che quasi sembrano parlare proprio del testo che sta per essere ascoltato, e di affidare il tutto ai visual urbani, geometrici e sospesi di Marco Giambra. Quello che unisce queste cose, quello che risuona da un disco come Voyeurismo ma, a ritroso, in tutto quel che è parte di Radiobluenote, è il compito principale di Bava, la parte più importante e densa: la consegna di una poetica, di un’attitudine, di uno stato mentale su cui queste varietà si accordano, un diapason sul quale poi diversi temi vengono rielaborati da diverse voci, rimanendo autonome e riconoscibili dentro un coro unico.

Sotto questa luce può essere letto Voyeurismo: sotto quella di una raccolta di racconti in cui ogni testo, vivo a sé stante, svela una vita più profonda, odorosa ed interconnessa alle altre, nel momento in cui si allarga lo sguardo su tutta l’opera. Opera di flash, scritti spiati, brani brevissimi che regalano qualcosa di intimo, mai completo, lontano eppure chiarissimo: un nudo dietro alle tende.

(Isidoro Concas)

Coprifuoco

Settimane di rivolte nella testa
non bastano le armi e le risorse
per comprenderla.

Il cuore ha la sua indipendenza
lascio a lui l’incarico
per combattere la guerra.

Isolamento contro me stesso
spengo il fuoco con la mano
per vederci meglio

Ma non trovo pace ed il silenzio
il suono delle sparatorie
dietro l’angolo spaventano.

Catturato verso sera in attesa di manovre
portavoce di uno stato assurdo delle cose
devi aiutarmi a trovare altre parole
sei già il fantasma di un soldato
della rivoluzione

E non aspetto fino a nuovo ordine
continuo a passeggiare nelle mie zone rosse
ultimi spari avvertimenti e nuove tombe
se mi ricorderò un domani saprò andare oltre.

Cortei mascherati fuori dai supermercati
proprio come prima, non è che siamo cambiati
che l’aria sia pulita forse è solo un’impressione
gli stimoli ottenuti dai canali di tensione.

Io vedo dagli occhi di chi guarda dal balcone
vedo dieci su uno come insetti su chi non si muove
sono Cenerentola incastrata nella zucca
se l’attesa si fa troppa il buio mi avviluppa.

Che sollievo l’egoismo che ancora mi fa pensare
che sto bene perché non sono l’unico a stare male
Bava mi trascina nel suo inferno da distante
vai a ‘fanculo, stavo meglio senza pormi più domande!

Si è confusa la pigrizia con il senso di giustizia
posso veder gli spettri, nulla più mi scandalizza
la regola diventa gigantesca, l’ombra su me rinfresca
mi gelano le ossa mentre essa mi accarezza.

 

Testo e voci: Davide Bava, Tito Sherpa
Musica:
Davide Bava
Sound effects: Marzio Zorio
Produzione e sound engineering: Radiobluenote Records
Video: Marco Giambra

𝓞𝓶𝓮𝓻𝓲𝓴𝓪

Lungo la Dora si dipana il viaggio di un contemporaneo Odisseo, naufrago nel disagio sociale degli sconfitti, fiaccato dagli echi di malriposte fiducie e delusioni come un sofferto canto di sirena. L’acqua melmosa e putrida genera tremende religioni, paure, insicurezze schiarite a brevi tratti dalla vista della neve cristallina, come una purezza non più raggiungibile. Cadono dall’albero di Sicomoro le grandi promesse e passate illusioni, lasciando spazio allo scorrere di un’acqua avvelenata, tomba di pesci già morti. Dalle parole di Tito Sherpa nasce un rap serrato, frastagliato, scabroso eppure dolce e pieno d’emozione, sostenuto dalla musica fluida di Davide Bava, cristallina ma carica di pathos. Sorge così un elogio allo spirito e alla pazienza, intesa non come abbandono della rivoluzione bensì come ritorno più mistico alla fede in un’assenza.

(Lorenzo Lombardo)

OMERIKA
(Poesie per la Dora)

Vuoto che lasci, voto che abbracci
Vedrò l’ignoto che viene a cercarci
Lobi del cuore divisi coi calci
Noia repressa in un Arci
Gente vegetale messa negli angoli
In cattedrale la messa dei diavoli
I più tristi, i più soli tracciano pentacoli
Povere bestie marchiate nei pascoli

Il monte si pettina di neve bianca
Di neve bianca
Torna ogni anno col freddo che avanza
La merla canta
Il decoro di merda non era abbastanza
L’appariscenza è un’usanza

Col polso facevo riparo
Cadendo dall’albero di Sicomoro
A forza di testate imparo
A forza di grandi troie m’innamoro
Con tutto che mi fidavo
Ora so quel che ricavo da un lago
Di pesci che han messo all’ingrasso
E li peschi pure senza l’amo
E sanno di farmaco
Di quelli potenti che sedano un narvalo

Atena
Incurva la mia schiena
Dona
Alla mia stazza una fattezza anziana
Battezzami
Spirito, l’importante è porci tenaci
Contro quei porci dei Proci
Evito approcci feroci
Penelope
Temevo che fossi tradito
Dai fili mossi dal dito
Dei figli tuoi e di tuo marito:
Ardito
Avere fede in un’assenza
La luna intona lode alla Pazienza

Poesie per la Dora esce il 1 Novembre 2019
Registrato e mixato a Radiobluenote
Testo e voce: Tito Sherpa
Musica e video: Davide Bava e NETDTSW

Copertina dell’LP