La sua scrittura è generazionale, politica, raramente intima: quasi scompare il vissuto proprio di Alekos di fronte ai temi che sceglie di approcciare, per comparire però come commentatore dal taglio e dal giudizio crudo e affilato, portavoce di un pensiero che, da suo personale, allarga ad una coralità di voci che è quella che collega le tre tracce della sua nuova uscita, Post Vol.1, anticipata da un singolo come 25MAG, che mostra con chiarezza il desiderio di tendere a un’evoluzione nel proprio linguaggio, sia liricalmente che musicalmente.
Figlio di una penna oceanica e nervosa, il lavoro musicale di Narratore Urbano si è sempre presentato in una veste tra il cantautorato e il rock che in Fine delle Trasmissioni, il suo esordio discografico, tradisce le sue radici in progetti come Le Luci Della Centrale Elettrica e il rapper Rancore, entrambe citate dal giovane Alekos Zonca come sue influenze principali, approcci che però vanno ad affacciarsi ad un mondo molto differente e che, proprio per questo, lo portano a seguire strade divergenti.

Post Vol.1 è il primo capitolo di un progetto molto ambizioso, che Narratore Urbano ha cominciato a svelare sui suoi canali Instagram nei mesi precedenti alla sua uscita e che, per dirla con Wu Ming 1, è “un viaggio che non promettiamo breve”: si tratta di un disco in quattro parti che usciranno tra il 2021 e il 2022, con l’intenzione di ritrarre la condizione del mondo attuale e le sue evoluzioni per raggiungere un equilibrio post-pandemia, il tutto permeato da una narrazione trasversale su più media che prevede anche l’uscita di una serie di videoclip tra loro collegati, realizzati dallo stesso team di persone col quale sta curando gli altri aspetti del progetto. Primo fra tutti è il produttore Fabrizio Pan, che per Post ha lasciato ancora più apertura alle moltitudini che la penna di Alekos vuole contenere e che, nelle sole tre tracce della sua prima parte, già si concede l’esplorazione di universi musicali molto differenti tra loro. Se l’album si apre con forse un raro esempio di scrittura più personale, Zenzero, nel quale i suoi versi si appoggiano su una produzione di chiara matrice post-rock e in un certo modo più collegata all’immaginario sonoro che già aveva caratterizzato i suoi scorsi lavori, è nelle altre due tracce che Narratore Urbano sperimenta altri linguaggi senza forzarli, ma rendendone chiara la loro funzione espressiva dell’intenzione dei testi.
Sia il singolo 25MAG, infatti, con echi industrial, forti elaborazioni elettroniche della voce e cupe casse programmate a raccontare la storia di George Floyd e della violenza istituzionalizzata che si insinua melliflua nel pensiero di ognuno rendendosi legittima, sia il recitativo Articolo 1 in cui la musica viene affidata al pianoforte di Protto, altro cantautore della scena torinese, che si lancia in una riscrittura beethoveniana in chiave marcatamente espressonista a fare da contraltare al grottesco personaggio che prende voce all’inizio del brano, interpretato da Alekos stesso, al quale poi risponderà in un crescendo di disillusione, sono soluzioni musicali che trovano il loro significato nel seguire perfettamente l’attitudine e la direzione lirica dei pezzi. Dopo un’apertura più leggera, infatti, Post Vol.1 si lancia in una violenta accusa che non può non essere supportata da una componente musicale altrettanto aggressiva, come chiara denuncia alle ipocrisie in cui, per lo sguardo di Narratore Urbano, stiamo indulgendo in questa lunghissima prima fase di superamento della pandemia.
ARTICOLO 1 (Feat. Protto)
“L’Italia è una Repubblica oligarchica,
fondata sulla disoccupazione.
La sovranità appartiene ai boomer aristocratici,
che la esercitano fottendosene
delle forme e dei limiti della Costituzione.
La Repubblica non riconosce né garantisce
i diritti inviolabili delle nuove generazioni
e richiede lo sfruttamento di doveri inderogabili
di sudditanza politica, economica e sociale.”
Hanno stuprato i nostri sogni
abbandonati
nelle scatole di cioccolatini ammuffiti
dove le mosche della notte ronzano
in cerca di un’altra massa putrefatta
su cui appoggiare le loro ali di velluto grigio
e divorare il sapore etereo delle luci al neon
figlie dei consumi e dei banchetti
di una società in declino
ormai da troppo tempo, immemore.
Hanno stuprato le nostre speranze
perché avidi di un tempo che ormai volge al tramonto
cercano di racimolare la sabbia delle clessidre,
e di colmare silenzi e capricci
attaccati come zecche
al tubo catodico del respiratore.
Hanno stuprato la verità
sodomizzata e agonizzante
su un terreno incolto una notte,
fuori dagli alberghi del nodo autostradale,
dalla circonvallazione esterna
ogni qualvolta danno aria a quella bocca
tracotante di feci e diarrea
appellandosi ai nomi di persone morte per un ideale
che puntualmente non perseguono
ma che accresce il loro consenso,
mentre con il dito sinistro conferiscono il bacio di Giuda,
sigillo di chi si è impiccato
con una muta da 0.12.
Hanno stuprato le nostre coscienze
perché per lavorare serve esperienza
che non possiamo avere se non lavoriamo,
perché vi siete ingoiati i nostri diritti come un caffè
e bramate di annientare il confine ultimo
delle navi fantasma che arrivano dal mare.
Hanno stuprato il nostro futuro
perché io so solo
che domani squarteranno un altro pezzo di cielo
per fargli esplodere la trachea tra i denti
e fargli schizzare al suolo nero di china
becere parole da osteria
rigurgitate da qualche terrapiattista
o sputate nel catino dei ricordi
sconnessi da un contatore di cassa
pieni di detriti di automobili
dimezzate dalle barriere del suolo
al posto dei Campi Elisi ormai liquefatti dai conati d’odio
del popolo analfabeta, della sciagurata classe dirigente
e dei baronali docenti nei loro palazzi di cristallo svizzero.
Hanno stuprato questa generazione,
affogata nella disperazione dell’aperitivo
e di sangue arancione ghiacciato
offerto in sacrificio per voi e i vostri traumi collettivi,
in nome una manciata di centesimi arrugginiti,
se sai dove andare.