Questa volta l’ho sentito: il rumore è inconfondibile. Mi guardo le mani, bianche e tremanti, mentre posano la videocamera sulla scrivania. Ho osservato le riprese della camera durante la notte, senza trovare altro che l’immagine in movimento del mio corpo agitato, e nient’altro.
Chiudo gli occhi per qualche secondo, stringendo le palpebre e i denti fino a sentirmi la faccia implodere. Ho alzato la musica per coprire i rumori, per fingere di non sentire. Se guardo fuori, posso vedere i primi fiocchi che iniziano a coprire il profilo dei tetti: il mondo torna ad essere una tela bianca, vergine, come avrei sempre voluto. Come non sarà mai.
Mi alzo e mi volto verso il muro. Il poster è una delle cose che amo di più di questa stanza. Un’immagine innocua, dove la ragazza uguale a Chiara non parla, non giudica, e resta lì al solo scopo di farsi guardare e di nascondere un grosso buco nel muro. Un muro sottilissimo, cavo all’interno. Me lo ricordo bene, perché questa stanza la conosco in ogni anfratto.
Eppure è lì dietro: qualcosa che si fa sentire, che prima fingeva di nascondersi e ora non ci prova nemmeno più.
Allungo la mano verso il poster, poi la ritiro. Poi, di nuovo, la avvicino. Busso contro la parete, il suono è lungo e rotondo.
Strappo via il poster con un colpo solo, scoprendo quel foro largo un pugno che si apre nell’oscurità. Con la mano a mezz’aria muovo le dita verso il buio. È solo quando ho le dita già dentro la parete, che mi accorgo che sto per accarezzare un volto umano.
Nel buio si sono spalancati due occhi, i suoi occhi – identici. C’è una faccia dentro al muro, che mi fissa con lo spavento di un animale braccato; una faccia che trema, e suda.
Non faccio in tempo a parlare che già il volto scarta a sinistra, scomparendo alla vista e portandosi dietro un brulicare di fruscii ovattati all’interno della parete cortissima e senza via di uscita.
Dall’altra parte, il corpo di mio padre. Trema, sussurra qualcosa che non riesco a sentire.
Poi il sussurro diventa un gemito leggero, disperato ed esausto. Avvicino l’orecchio alla parete giusto in tempo per sentire un animale braccato, identico a me, mentre implora:
– Ti prego, fammi restare.