Coloro che hanno letto La società dello spettacolo di Guy Debord, opera pubblicata nel 1967 e divenuta ben presto, insieme al coevo Traité di Vaneigem, uno dei testi base del movimento situazionista, ricorderanno senz’altro il dettato della tesi 207,che costituisce uno dei fondamenti teorici del détournement:
«Le idee migliorano. Il senso delle parole vi partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Esso incalzala frasediunautore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta».

Ebbene, i passi su menzionati sono in realtà una citazione mascherata, essendo apparsi originariamente in uno smilzo opuscolo del 1870, pubblicato in conto d’autore da Isidore Ducasse, un ventiquattrenne di origini sudamericane, figlio di un diplomatico francese in servizio presso il consolato di Montevideo.
A dire il vero, gli opuscoli pubblicati da Ducasse tra l’aprile e il giugno del 1870, pagati con i soldi di papà e dal titolo di Poésies, furono due. All’epoca non ebbero alcuna eco e furono ripubblicati soltanto nel 1919 da André Breton sulla rivista «Littérature».
Isidore Ducasse verrà poi trovato morto nel suo appartamento la mattina del 24 novembre, ossia poche settimane dopo l’uscita di Poésies e a pochi mesi dall’avvento della Comune di Parigi, in circostanze che resteranno misteriose. Suicidio? «Febbre maligna»? Overdose? Non lo sapremo mai.
Per la cronaca, il montevideano è rimasto assai più noto per un’altra sua opera, vale a dire I Canti di Maldoror, firmata col celeberrimo pseudonimo Conte di Lautréamont, libro che fu stampato dall’editore parigino Lacroix, ma mai messo in circolazione, probabilmente per paura della censura.

Proprio per via delle traversie editoriali del suo Maldoror, Ducasse cambia registro e cerca di distaccarsi dalle pastoie di un’estetica ancora fortemente impregnata da maledettismo e humour nero. In una lettera a Poulet-Malassis del 21 febbraio 1870, si ritrova a tratteggiare sommariamente obiettivi e metodo della nuova opera: «Lei deve sapere che ho rinnegato il mio passato. Non canto più che la speranza; ma, per questo, bisogna anzitutto attaccare il dubbio di questo secolo (malinconie,tristezze, dolori, disperazioni, nitriti lugubri, malvagità artificiali, orgogli puerili, maledizioni buffonesche, ecc.). In un’opera che porterò a Lacroix ai primi di marzo, prendo a parte le più belle poesie di Lamartine, di Victor Hugo, di Alfred de Musset, di Byron e diBaudelaire, e le correggo nel senso della speranza; indico come si sarebbe dovuto fare».
Il fine dichiarato di Ducasse – «attaccare il dubbio» per «cantare la speranza»– è il filo rosso che lega i due numeri di Poésies: abbozzo di una prassi poetica che mira a stigmatizzare la frivolezza di chi, accontentandosi di fare letteratura, si rivolta idealisticamente contro Dio, l’uomo e il mondo.
Nel primo numero, l’attacco contro le immagini e gli araldi del «dubbio» è quanto mai puntuale, feroce, senza alcun cedimento. Basterebbe il solo elenco iniziale, di oltre un centinaio di «tic» letterari dell’epoca, per fare di Poésies I un caposaldo imprescindibile della critica moderna. E che dire della folgorante serie di epiteti affibbiati alle «Grandi-Teste-Mosce»? Nessuno tra i maggiori letterati dell’Ottocento sembra salvarsi. Il sarcasmo di Ducasse è travolgente. Ai suoi occhi c’è troppa letteratura d’occasione, ed è per giunta brutta, malfatta, indigeribile. Il romanzo poi è morto, è «un genere falso», addirittura immorale. Quanto ai poeti, la loro inclinazione a cantare il dolore e le brutture della vita va combattuta con estremo rigore, in modo da lasciare il posto alla creazione del «bene». Insomma,sembra quasi che per Ducasse tutta la letteratura sia ormai di troppo e che ci sia bisogno di una radicale palingenesi.
Ma la singolarità di Poésies I e II, al di là del fatto che non vi si ritrovano dei testi in versi malgrado il titolo, sta senza dubbio nel propugnare e nel mettere in atto una tecnica letteraria plagiarista.
L’uso del plagio teorizzato da Ducasse si rivela però un metodo critico, paradossalmente etico, atto a una soppressione dei ritardi del pensiero, e non certo, o non solo, un intervento in funzione del bello in letteratura.
Pur partendo dal presupposto che il plagio esiste perché, nell’àmbito del mondo capitalista, esistono i limiti fissati dall’autore e dai suoi diritti, occorre sottolineare che il plagio, in senso ducassiano, non è spoliazione, non è appropriazione o mera correzione di ciò che appartiene ad alcuni, bensì movimentazione e sviluppo di ciò che può appartenere a tutti.
Detto ciò, la pratica situazionista del détournement dev’essere considerata un’emanazione diretta del plagio ducassiano. I situazionisti non solo hanno applicato il plagio a ogni strumento artistico–dal cinema alla pittura, dai fumetti all’urbanistica, dalla radio alla scrittura –, ma hanno propugnato l’impiego di tale tecnica ben al di là del contesto culturale, coinvolgendo i gesti, l’abbigliamento, le stesse situazioni ambientali urbane, in un progetto unitario di trasformazione rivoluzionaria del mondo.
Isidore Ducasse
Poesie
I
I gemiti poetici di questo secolo non sono altro che sofismi.
Si sogna soltanto quando si dorme. Sono parole come sogno, nulla della vita, passaggio terreno, la preposizione forse, il tripode in disordine, ad aver instillato nelle vostre anime questa poesia madida di languori, simile a putredine. Dalle parole alle idee, non c’è che un passo. I perturbamenti, le ansie, le depravazioni, la morte, le eccezioni nell’ordine fisico o morale, lo spirito di negazione, gli abbrutimenti, le allucinazioni servite dalla volontà, i tormenti, la distruzione, i rivolgimenti, le lacrime, le insaziabilità, gli asservimenti, le immaginazioni lambiccate, i romanzi, ciò che è inatteso, ciò che non bisogna fare, le singolarità chimiche da avvoltoio misterioso che spia la carogna di qualche morta illusione (…) – dinanzi a questi carnai immondi, che arrossisco a nominare, è finalmente tempo di reagire a ciò che ci turba e ci piega così sovranamente.
La disperazione, nutrendosi per partito preso delle proprie fantasmagorie, conduce imperturbabilmente il letterato all’abrogazione in massa delle leggi divine e sociali, e alla malvagità teorica e pratica. In una parola, fa predominare nei ragionamenti il deretano dell’uomo.
Suvvia, passatemi il termine! Si diventa malvagi, lo ripeto, e gli occhi prendono il tono dei condannati a morte. Non ritratterò quanto affermo. Voglio che la mia poesia possa essere letta da una fanciulla di quattordici anni.
Dopo Racine, la poesia non è progredita di un millimetro. È indietreggiata. Grazie a chi? Alle Grandi-Teste-Mosce della nostra epoca. Grazie alle femminucce, Châteaubriand, il Mohicano-Malinconico; Sénancourt, l’Uomo-in-Gonnella; Jean-Jacques Rousseau, il Socialista-Mariuolo; Anne Radcliffe, lo Spettro-Rimbambito; Edgar Poe, il Mammalucco-dai-Sogni-d’Alcool; Mathurin, il Compare-delle-Tenebre; Georges Sand, l’Ermafrodito-Circonciso; Théophile Gautier, l’Incomparabile-Pizzicagnolo; Leconte, il Prigioniero-del-Diavolo; Goethe, il Suicida-per-Piangere; Sainte-Beuve, il Suicida-per-Ridere; La martine, la Cicogna-Lacrimosa; Lermontov, la Tigre-che-Rugge; Victor Hugo, il Funebre-Stecco-Verde; Mickiewicz, l’Imitatore-di-Satana; Musset, il Damerino-Senza-Camicia-Intellettuale; e Byron, l’Ippopotamo-delle-Giungle-Infernali.
Bisogna che la critica attacchi la forma, mai il fondamento delle vostre idee, delle vostre frasi. Arrangiatevi. I sentimenti sono la forma di ragionamento più incompleta che si possa immaginare. Tutta l’acqua del mare non basterebbe a lavare una macchia di sangue intellettuale.
II
La poesia deve avere per scopo la verità pratica. Enunci ai rapporti che esistono tra i principî primi e le verità secondarie della vita.
(…) Scopre le leggi che danno vita alla politica teorica, alla pace universale, alle confutazioni di Machiavelli, ai cartocci che compongono le opere di Proudhon, alla psicologia dell’umanità. Le parole che esprimono il male sono destinate ad assumere un significato utile.
Le idee migliorano. Il senso delle parole vi partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica.
Esso incalza la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta.Una massima, per essere ben fatta, non richiede correzioni. Chiede di essere sviluppata.
Il genere che intraprendo è tanto diverso dal genere dei moralisti, i quali si limitano a constatare il male senza indicarne il rimedio, quanto il loro non lo è dai melodrammi, dalle orazioni funebri, dall’ode, dalla stanza religiosa. Non vi è il sentimento delle lotte.
La poesia deve essere fatta da tutti. Non da uno. Povero Hugo! Povero Racine! Povero Coppée! Povero Corneille! Povero Boileau! Povero Scarron! Tic, tic, e tic.
Bisogna che io scriva in versi per distinguermi dagli altri uomini? Che la carità si pronunci!
Tratto da Isidore Ducasse, Poesie
Eretica Edizioni, 2025
Traduzione di Carmine Mangone
In copertina, L’enigma di Lautréamont di Man Ray
Carmine Mangone, nato a Salerno nel 1967, è agitatore poetico, aforista e critico dei processi sovversivi otto-novecenteschi. Tra le sue ultime pubblicazioni, per Nautilus, troviamo la biografia René Char. Comune presenza. Per Eretica Edizioni ha già tradotto e curato nel 2021 Arthur Rimbaud, Una stagione all’inferno.
