“EMO…stammi lontano rischio di essere intollerante
EMO…è troppo tardi, sto spazzando via il tuo sangue.”
– Tear Me Down, Emo di Merda
Nei Canti di Maldoror, poema di Isidore Ducasse, ci si imbatte spesso in una serie di similitudini apparentemente senza senso, un esempio prodromico di quella “scrittura automatica” celebrata dal movimento surrealista. La più celebre è questa: “Bello come l’incontro fortuito, su un tavolo operatorio, di una macchina da cucire e un ombrello”.
Gli incontri fortuiti del caso, che generano la “bellezza convulsa” teorizzata da Breton, ci si parano ad ogni angolo della vita, l’importante è saperli riconoscere; a dicembre dell’anno appena passato, proprio mentre tornavo a far terapia e ivi svisceravo i miei ricordi/traumi della mia adolescenza, mentre apprendevo della morte di Shane MacGowan – cantante dei Pogues – mio idolo di gioventù, mi capita in mano il nuovo libro di Matteo Grilli, Muori Romantica, edito da Effequ. Un libro che affronta proprio l’adolescenza.

Il romanzo d’esordio di Grilli (marchigiano ma residente a Milano, classe 1988), Crocevia di punti morti – di cui parlai su queste stesse pagine – fu a mio parere uno dei “casi” letterari degli ultimi anni, in cui (meta)horror, shonen manga e flusso di coscienza/textposting si fondono per raccontare il ritorno in provincia dei millenials ex fuorisede inurbati.
Mi sono approcciato a Muori Romantica quindi con tanta curiosità e qualche pregiudizio, dato che mi era stato chiaro da subito che l’autore ripescava dal cilindro una fortissima influenza “emo”, una subcultura che nasce negli anni ‘80 da un pugno di band statunitensi (Rites of Spring, Embrace) che davano all’hardcore-punk una chiave più intimista, ma che poi aveva avuto uno sviluppo imprevedibile intorno agli anni ‘00: frange lunghe tinte di neroblu, polsini viola, teschietti e una scena musicale che tingeva il pop-punk di matrice californiana con influenze darkwave, brutal death metal, goth rock, con risultati spesso imbarazzanti. Col senno di poi, però, questa sottocultura aveva anticipato di un ventennio alcune tendenze attuali: la sensibilità sfoggiata come bandiera, il predominio del politico/personale, la queerness, e non è infatti un caso che proprio in questi ultimi anni tutto l’emo, da quello più pop a tendenze underground come lo screamo, siano tornate in auge, con risultati spesso ancora più imbarazzanti (cfr Tickets to my Downfall, vendutissimo e plagiatissimo album di Machine Gun Kelly).
Pur sapendo della passione mai sopita di Grilli per la trash-subculture della nostra comune adolescenza (dal nu metal a progetti pseudo-gotici come gli Evanescence), temevo che questa sua seconda prova non fosse altro che una operazione commerciale per strizzare l’occhio a questa rediviva moda, perdendone in qualità: fortunatamente mi sbagliavo.
La sinossi del romanzo è piuttosto semplice: ai margini della città c’è un condominio in cui vengono concentrate persone con problemi psicologici, che per guarire devono continuare a fare la loro attività preferita, ad esempio scrivere o suonare.
C’è Celeste, omonima della protagonista di Crocevia, scrittrice che non riesce a esprimere i suoi sentimenti, che viene visitata da una creatura spettrale. C’è Nikki, musicista, infestato dal ricordo della morte di Angel.
C’è Connor, che vive in un palazzo antistante al condominio e il cui scopo nella vita è combattere le “creature”.
Le vite di queste tre persone si intrecceranno fino a un climax violentissimo anche emotivamente che poi si stempererà in un finale commovente come una canzone di Mellon Collie and The Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins.
Perché, diciamolo subito, Grilli è bravissimo a scrivere e a comunicare emozioni fra esse contradditorie che si scontrano e ti lasciano stramazzato al suolo. Prendiamo un paragrafo a caso, da inizio libro:
“Il condominio, per fortuna, non contempla psicofarmaci ma atti totemici per depotenziare le disfunzioni suicidarie della persona, ancorandola a quella pratica che tutti definiscono come ‘passione’ ma per loro è un mezzo innato, un tratto psicomagico per devastare a colpi di significati l’ombra. E che cazzo significa tutto questo per Celeste? Significa scrivere, stupida stronza.”
In poco più di tre righe l’autore riesce a passare dall’asettica prosa ballardiana (e, effettivamente, lo scenario ricorda due dei capolavori di Ballard: Atrocity Exhibition e High-Rise) alla prosa carnale di Isabella Santacroce per poi concludersi, nell’ultima frase, con il punto di vista post adolescenziale di Celeste. Tutto il libro e così, una serie di saliscendi emotivi in cui puoi trovare momenti di ironia pulp tipicamente italiana (penso al miglior Ammaniti), come nel dialogo fra Connor e il benzinaio, citazioni nascoste di canzoni e frasi spaccacuori che potrebbero figurare in shojo tipo Nana.
La capacità dell’autore di essere polifonico non rende però il romanzo “corale”: i protagonisti di Muori Romantica sono molto differenti fra loro ma sembrano essere frammenti dell’inconscio di Grilli. Perché, come il precedente, anche questo è un romanzo di formazione che ha come scopo finale quello di tirare fuori i ricordi per esorcizzarli.
Nikki e Celeste sono perseguitati dai fantasmi del passato, Connor invece è cacciatore di essi, e tutti e tre sembrano esprimere una necessità che è dell’autore ma anche di tutta la mia generazione: riguardare in faccia la nostra adolescenza, quel periodo in cui le nostre passioni sembravano essere il nostro destino, catturarla e – infine- liberarsene.
Uscire dal Condominio della nostra coazione a ripetere atti che non ci fanno affrontare il mondo e, finalmente, maturare.
Così come il suo esordio, anche in Muori Romantica c’è un fortissimo lavoro sulla meta-narrazione: lì si riscriveva It di Stephen King narrando un personaggio ossessionato dal libro, qui si recupera la gioventù dell’autore riempiendo il libro di citazioni – nascoste o meno – di canzoni che sicuramente lo hanno accompagnato, cosicché tutto il libro, un racconto in ultima istanza di fantasmi, sia infestato a sua volta.
Un libro bello come l’incontro fortuito di me che pensavo alla mia adolescenza sul tavolo operatorio della psicoterapia e questo stesso racconto in cui Grilli fa lo stesso, ma con le parole.
