Vinnie Marakas (al secolo Giuseppe Fabris) è un giovane talento prolifico, visionario e sperimentatore (basta guardare i suoi videoclip oltre ad ascoltare la sua musica). ll suo è un genere poliedrico e ibrido, che sfugge ai tentativi di categorizzazione, in cui più urgenze espressive chiedono il proprio spazio vitale.
All’ascolto c’è tutto un Battisti e un Battiato fusi, crasi e distensioni, leggere contraddizioni, un dire le cose come stanno, usando i piccoli amuleti del quotidiano. È quel pop, nel senso più intimo del popolare, delle persone che vanno a fare la spesa alle otto, la sera dopo il lavoro per comprare un surgelato da buttare nella friggitrice ad aria o il sabato mattina in fila alle poste per pagare una multa scaduta, presa l’anno prima in vacanza ad agosto in Puglia.
La mia crush del disco è Nervi Saldi, canzone figliata dal cantautorato siciliano, per intenderla alla Colapesce e alla Di Martino, a inizio carriera. Quel suonare sospeso, quasi navigato con un dirigibile in cui si viene avvolti da sonorità dream pop.
Siete pronti a ballare? Indossate i vostri slip di paillettes, iniziamo.
Sei sul frecciarossa 9716 delle 8:46 Padova Torino. Cosa porti con te, cosa lasci e cosa vorresti riportare indietro?
Lascio indietro le certezze del passato, le convenzioni, le convinzioni e le aspettative: un bagaglio pieno di illusioni e speranze disordinate. Porto con me la promessa di nuove avventure, i volti sconosciuti che ho incontrato e l’eco delle strade che ho attraversato. È un treno che prosegue sempre, anche quando torna indietro.
È nato prima l’uovo o la gallina è al pari di capire se nella propria arte si è un ricercatore o uno sperimentatore. Vinnie cos’è?
Un trapezista. Un indovino che interpreta le proprie stesse viscere. Ricercare significa scoprire ciò che già esiste in una forma nascosta, sperimentare significa provare qualcosa che non esisteva prima ma l’una fa parte dell’altra. Ma una fa parte dell’altra. Sono l’uovo e la gallina. Io sono la ricerca e l’esperimento, perciò cercando, sperimento il non sapere cosa cerco. E il cercare comunque. Preferirei di no è un po’ questo, l’esistere nonostante se stessi.
Il tuo ultimo lavoro, Preferirei di no, è un album di pancia. Quali altri organi hanno contribuito alla sua realizzazione?
Una mente errante e un cuore irrequieto. Occhi assorti e orecchie affilate. Ogni canzone ha un po’ di tutto, ogni canzone è organo e organismo, la sfida di comporre un album è anche quella, dare vita a un corpo le cui singole parti possono vivere sia in se stesse, che nel complesso organico del lavoro. Questo comporta anche delle scelte, come indirizzare un brano da qualche parte, o di escluderlo, o tenerlo in sospeso. E lì subentra anche la testa, oltre che la pancia. È una fase dolorosa quanto necessaria.
Il tuo rapporto con la scrittura e la musica, cosa le accomuna, cosa le allontana, ma soprattutto dove stai andando?
In passato avevo un rapporto più stretto con la scrittura, era il mio pensiero principale. Ma in quel periodo scrivevo anche e soprattutto perché mi ero convinto di non poter fare nulla con la musica. Poi ho smesso di scrivere, ho cercato di far fluire e la musica è tornata.
Quello che scrivo è sempre a posteriori, in qualche modo si scrive da sé, ma sempre poi, mai prima. Io credevo di desiderare d’essere un poeta, ma in realtà desideravo essere poesia. Le parole danzano il tango con le note e le virgole fanno la ruota. Alcuni dei testi nascono dall’improvvisazione, da un canticchiamento interno, come Supermarket, un mantra come altri, sono recuperi di giovinezza, da frammenti e note a piè di pagina, in una sorta di collaborazione con i me passati. Un esempio di questo approccio è Nervi saldi. Su altri brani magari invece avevo un’idea o un tema ricorrente che volevo sviluppare.
Da dove arrivi? Cosa ti ha portato alla musica.
Vengo dalle pianure, dai colli e dalle lagune, guidato dalla bacchetta biforcuta del rabdomante. Tutto è musica, tutto è teatro. Da lì arrivo e verso lì mi diparto, roteando forsennatamente.
Chi sono gli artisti che contaminano i tuoi pezzi, da chi attingi e da chi vorresti essere attinto?
Mi affascinano i falsari, gli illusionisti. Nella musica, nella letteratura e nella vita. Gli artisti del verosimile, del doppio, e dell’incredibile. Non mi piace mai fare nomi. Se ne dicono alcuni e se ne dimenticano altri, ma d’altra parte non sono i nomi l’importante, ma i simboli che hanno veicolato, e che per mimesi si diffondono e si trasformano attraverso le interpretazioni. Preferisco che chi ascolta o guarda sia libero di sentirci quello che desidera e ciò che gli risuona, non ci sono risposte errate. Ognuno attinge ed è attinto, è il motivo per cui facciamo quello che facciamo. I riferimenti in questo lavoro sono tanti, dal cantautorato italiano, al synthpop, alla nu disco dream pop 2010. Dipende molto dagli ascolti, è un po’ una fusione del background mio e di Richard Floyd che ha prodotto l’album. Lui viene più dal prog, dalla disco, io ho svariato molto nel mio percorso di ascoltatore, direi che i punti di contatto tra noi sono quelli che ti ho nominato prima, in generale la scena francese, dalla french house al futurpop attuale.
Le tue regole d’artista, se le hai, quali sono e cosa comportano?
Direi che non ci sono regole. L’unica forse è che alla fine il risultato debba convincere me e Richard Floyd. Ma è sempre una convinzione momentanea, emotiva. Non appena si chiude un brano già lo vorresti cambiare da capo. Le regole sono come una mappa disegnata da un bambino di tre anni: incomprensibili e spesso sbagliate, sono isole dove si approda da naufraghi e da cui si fugge non appena si ha la zattera adatta ad affrontare il mare aperto. Come ho detto prima, ogni canzone ha una genesi a sé, dipende molto dal momento, dall’umore, dagli strumenti a disposizione.
Sei su di un palco, cosa vorresti fare?
Vorrei fare un numero di ventriloquismo con un pappagallo ubriaco e un microfono difettoso, e poi scomparire in una scia di confusione e risate nervose.
Prossimo lavoro?
Il lavoro è sempre lo stesso che assume forme diverse come nei sogni. Ora sta tutto nel sognare bene.
Supermarket
Un’oasi nel deserto
ha il cuore sempre aperto
Supermarket
Sei nato suo cliente
è il tempio della gente
sei tu il target
Mi insinuo stupefatto
nell’H24
Supermarket
Un sogno o un’allucinazione
chi sono tutte ste persone
super muppets
Tutte le mie necessità
tutta la mia felicità
si nasconde tra questi scaffali:
Coca Cola e Campari
(Voulez-vous aller au supermarché avec moi?
Ba alors..)
Supermarket
Supermarket
Supermarket
L’impero della concorrenza
qui vive l’abbondanza
più sgargiante
Non sono più lo stesso
adesso anche io ho un prezzo
come gli altri
Un’offerta sempre nuova
ma noi siamo ancora in coda
è straziante
E pure se ne siamo schiavi
torneremo anche domani
al supermarket
Tutte le mie necessità
tutta la mia felicità
si nasconde tra questi scaffali:
Coca Cola e Campari
Testo e voce di Vinnie Marakas
Musica e produzione di Richard Floyd
Preferirei di no, Dischi Sotterranei, 2024
Vinnie Marakas è profeta, sciamano e ragazzo immagine. Il suo nome è scritto sugli ingressi omaggio del Sabor Latino.