GhelfiDema | Una liturgia femminista

Il 26 settembre 2025, al Capodoglio Murazzi di Torino, Valentina Ghelfi e Selene Demaria aka GhelfiDema vincono la VI edizione del Premio Sanesi di poesia in musica. Con il loro assaggio elettropoetico di Feminae si aggiudicano la produzione del loro album e la pubblicazione su Neutopia Magazine. Qui, intervistate e passate allo scanner artistico, ho chiesto loro chi sono, dove stanno andando e soprattutto interrogarsi sulla loro azione trigona: poesia, elettronica e attivismo.

GhelfiDema, vincitrici della VI edizione del Premio Sanesi

Valentina: GhelfiDema e l’idea di lavorare insieme nasce nel 2021, ma prima di questo io e Selene eravamo amiche. Ci siamo conosciute nel 2018, lavorando insieme a uno spettacolo a Palermo, e da lì la nostra amicizia è cresciuta. Ed è diventato a un certo punto naturale pensare di collaborare, dato che c’era già una consonanza di anime molto profonda. Credo che per lavorare bene sia necessario trovarsi a livello personale prima di tutto, se ci si riconosce, il resto, la creazione, viene da sé. Il pretesto è stato che io stavo preparando le presentazioni del mio secondo libro di poesie, Quello che succede dentro (Bertoni Editore), e le avevo chiesto, dato che Selene oltre ad essere attrice è anche musicista e cantante, di accompagnarmi con la chitarra per creare un reading che potesse essere più interessante di una classica presentazione di libri. E nel momento in cui però ci siamo trovate per iniziare a pensare a questo reading, si trattava di poesie d’amore, e ci immaginavamo quindi un po’ “ragazza con chitarra”, e “ragazza che legge poesie d’amore”, ci siamo accorte che non ci interessava davvero quella direzione. Nel frattempo lei aveva iniziato a sperimentare con Ableton, tastiera e Loop Station, quindi abbiamo buttato tutto quello che avevamo iniziato a creare, io ho tirato fuori i testi, che poi sono quelli che sono stati pubblicati in Feminae, e così abbiamo iniziato a sperimentare, unendo queste due voci e aspetti che fanno parte di noi al di là dell’essere semplicemente attrici. Credo che siano gli aspetti in cui noi, entrambe, ci sentiamo autrici, in cui possiamo portare la nostra voce, la nostra visione, nella maniera più autentica, diretta, divertente, profonda, ironica e fonderle non fa che potenziare quello che siamo.

Selene: Infatti, è proprio così. La chitarra è stata sostituita da suoni distorti, bassi, cassa dritta e i testi su cui abbiamo iniziato a lavorare avevano un linguaggio più diretto, aggressivo, crudo. Credo che una direzione fondamentale di GhelfiDema sia il piacere, il godimento, il gusto, cioè creare quello che ci piace, fare quello che ci diverte, che ci esprime.

Selene: Beh, intanto il femminile per me non riguarda solo il genere F, ma coincide con energie e caratteristiche del mondo, tratti che abbiamo perso, soffocato, giudicato, smembrato, ucciso, messo alle fiamme in nome di un ordine che non prevedesse più cose inspiegabili come sono quelle “delle femmine” e ora il mondo piange perché non ha più il suo femminile. È ora che torni più potente di prima a riequilibrare il maschile, che ormai si confronta solo con se stesso e ha perso la relazione con la realtà e la complessità del mondo, volendo incasellare tutto in un solo quadrante.

Valentina: Sì, esatto. Feminae significa Delle femmine, è un modo per raccontare e descrivere quella che è la nostra esperienza in primis, sperando che altre persone possano riconoscersi in quel che raccontiamo. I testi che vengono dal libro di poesie che è all’origine del nostro spettacolo sono stati scritti in un momento preciso del mio percorso femminista, nascono dall’esigenza di far sentire la mia voce, prendermi uno spazio per essere finalmente sgradevole, rompere con quelle che erano le aspettative che io sentivo pesare su di me. Credo che quando ci si approcci al femminismo si attraversi, a un certo punto, una fase di profonda rabbia.Dopo che cominci a osservare e leggere il mondo attraverso questa nuova lente, a notare le limitazioni, le dinamiche, le ingiustizie che tu stessa ripeti e attui… Ti accorgi di tutti i modi in cui il tuo potere ti è stato tolto, tutti i modi in cui tu stessa l’hai dato via senza pensare, senza sapere nemmeno di averlo. Questo, nel mio caso almeno, ha generato una profonda rabbia, un bisogno di riscatto. Allo stesso tempo, noi due ci stavamo già interrogando da un punto di vista spirituale su quali fossero i modelli del femminile, in chi potevamo riconoscerci, chi potesse essere la nostra stella polare per accompagnarci o guidarci verso quello che volevamo essere. Trovavamo spesso e volentieri esempi di un femminile amputato di tutte quelle parti più oscure di cui viene insegnato a vergognarci, quegli aspetti “che non sta bene mostrare”. E quindi questa è stata la direzione della nostra creazione, cioè il voler mostrare il femminile in tutte le sue sfaccettature, anche quelle considerate più spaventose, mostruose, schifose, come possono essere la rabbia, il desiderio, l’invidia, la violenza anche, per poterle accogliere. E per poter dire noi siamo anche questo, ed è giusto ed è potente, e celebrarlo.

Il vostro stile è iconico, glamour, ultrachic borghese, quanto conta il vostro biglietto da visita fotografico?

Selene: Wow, grazie per l’ultrachic! Credo sia qualcosa che ancora stiamo costruendo e definendo bene. Sicuramente, nello spettacolo Feminae abbiamo scelto i completi proprio perché ci sentivamo di voler stare in un mood quasi più da concerto e brillare come non mai (ride). Ma soprattutto per dare anche l’impressione iniziale di qualcosa di ordinato e composto, magari anche imbellettato, per poi disattendere questa aspettativa.

Valentina: Ci interroghiamo spesso sull’aspetto visuale, estetico ed è quello su cui ci sentiamo meno forti. L’aspetto estetico, grafico si è andato a definire nel tempo, attraverso tentativi ed errori. Conta perché la creazione artistica è totale e vogliamo che ogni elemento che ci racconta rispecchi la nostra poetica. E sento che abbiamo ancora strada da fare nell’affinarlo. Ultrachic borghese -sono elementi che leggiamo e portiamo con ironia, una patina pettinata che man mano si smonta, si rompe, si sporca, si prende in giro.

Nel vostro lavoro i testi sono nati prima delle musiche. Cosa avete cambiato per incastrare tutto tra di voi?

Selene: Direi quasi niente. Mi ricordo i primi pezzi, che sono stati Dammi, Mano nelle mutande e Desiderio ed è venuto tutto così naturale, Vale recitava i suoi versi, io le chiedevo di continuare a recitare mentre creavo dei suoni con tastiera e voce mettendoli in loop e magari si cambiava qualche parola della poesia originale. È venuto tutto così naturale e ci siamo trovate, e tuttora ci troviamo, sempre in sintonia, con lo stesso gusto artistico e la voglia di dire e di parlare delle stesse cose. C’è un bellissimo ascolto e apertura fra noi. Gran culo. Si può dire?

Valentina: È stato un incontro, come creare dei cocktail ogni volta con degli ingredienti in percentuali diverse, nel senso che a volte la musica è arrivata al servizio di una poesia che non è cambiata, altre volte invece magari Selene aveva creato una base e abbiamo scelto dopo che cosa poteva stare bene con questa base, altre volte ancora invece i due linguaggi che esistevano già si sono fusi, e quindi magari della poesia iniziale è rimasto uno scheletro che però poi è stato adattato ed è diventato canzone. Secondo me vince il fatto che non ci sia una regola ferrea appunto, ma che ogni pezzo ha delle esigenze differenti, credo che non siamo o cerchiamo di non essere affezionate alla nostra idea e di aprirci alla proposta dell’altra, per fortuna spesso e volentieri ci troviamo molto d’accordo. Nel processo mi capitano momenti in cui Selene mi fa delle proposte e io non le vedo, non le capisco, e quindi mi trovo a dire “ok, in questo momento io non vedo dove stai andando, mostrami, cioè fai tu, fammi vedere, fammi capire.” Nel tempo ho imparato a fidarmi del suo sguardo che vede cose che io ancora non vedo, ed è bello certe volte poter lasciare andare, non dover per forza capire tutto, ma sapere che la persona che è al tuo fianco nella creazione sa e non è sempre detto che debba sapere anche tu.

Valentina: Sì, è stato molto bello sentire i pareri delle persone. Tanto che poi abbiamo pensato di fare dei video feedback post-spettacolo, li trovate nella nostra pagina instagram, GhelfiDema. Riguardo allo stereotipo, effettivamente è interessante capire che cosa si intende per stereotipo femminista, perché io ne avrei in mente tanti differenti. Quello che cerchiamo di non fare è cadere nello stereotipo dello spettacolo femminista, che di solito è vittimista. Capita spesso che gli spettacoli che parlano anche di violenza ritraggano la donna come una poverina che subisce senza avere strumenti o che si crogiola in una condizione. Noi cerchiamo di non andare in quella direzione.

Valentina: Beh, intanto cosa vuol dire lottare socialmente, al di là per una donna, cioè per un individuo? Secondo me, la lotta è nell’affermare una propria verità, una propria autenticità, accettarsi ed esprimersi, lottare per quello in cui si crede, per esprimere se stess* nella maniera più autentica possibile, e arrendersi è non farlo, non rinunciare a provarci per paura, questo in generale.

Selene: Sì, credo che lottare per una donna sia ancora riferito al farsi spazio e prendersi il proprio spazio, farsi valere in un mondo costruito a misura d’uomo. E lo è anche nei più piccoli stipiti, anfratti, crepe. Ovunque. Perché siamo impregnati di cultura dello stupro, di voglia di sopraffazione, che tocca tutti gli ambiti e liberarsi da questa sarà molto lento ancora, molto doloroso. Arrendersi per me è anche fare finta di niente, chiudere gli occhi qualche volta, anche nella scelta di non sostenere una sorella.

Selene: Io non sono battezzata e vengo da una famiglia non credente. Non mi sento né cristiana né di appartenere a nessuna religione. Le messe le ho viste solo ai matrimoni, ma amo le chiese! Ogni volta che ne vedo una ci entro perché mi dà una sensazione di pace, di bellezza e di radicamento spirituale. Nonostante io non abbia nessun background cattolico o cristiano. Mi sento spirituale e sono molto curiosa delle religioni del mondo ed è anche da qui che nasce Sacri Elementi Scardinanti. Ma non mi sento di appartenere a una religione in particolare. Mi sento connessa o meglio cerco una connessione spirituale sempre attraverso pratiche che mi facciano stare bene e in pace, questo sì.

Valentina: Ora non vado più a messa, ameno che non si tratti di cerimonie acui sono invitata. Ma ci sono andata per tanto tempo. La mia educazione e formazione è cattolica, ho fatto anche gli scout cattolici, quindi per lunga parte della mia vita andavo a messa una volta a settimana. E di certo quindi la mia lotta di emancipazione è stata anche un liberarmi da un certo tipo di catene – e tuttora lo è – legate al senso di colpa, alla vergogna, all’espiazione, al peccato. Che tuttora purtroppo fanno parte di me. Le messe le ricordo come momenti in realtà molto emotivi. Ricordo che mi è capitato di fare messe anche in mezzo ai boschi con pochi amici stretti e li ho sempre trovati dei momenti in realtà che mi davano un fortissimo senso di comunità, appartenenza e sacro, questa presenza misteriosa di un Dio, di un Gesù, per quanto già avessi dei dubbi su alcune parole utilizzate, il Credo, tutta questa retorica della colpa, che sono quelle che noi decostruiamo e riscriviamo in Feminae. Io vorrei essere figlia dei libri che leggevo da bambina, dei libri di streghe, che mi facevano credere che tutto fosse magico e connesso. Voglio essere figlia delle streghe, di congreghe di donne che creano e resistono, di una sapienza che si passa di nonna in nipote.

Nel vostro spettacolo chiedete al pubblico di pensare a qualcosa che vorrebbero far fiorire nella loro vita. Lo chiedo io a voi, a parti invertite: cosa vorreste far fiorire nelle vostre vite?

Selene: Ah guarda, ti cito cosa ho scritto nell’ultima replica al Teatro dell’Argine: “GhelfiDema in the Universe”, cioè mi piacerebbe raggiungere l’estero, il mondo. poter ampliare i nostri confini e tradurre Feminae in inglese. Intanto lavoriamo al nostro nuovo progetto, che è una trilogia che indaga le figure femminili nella storia delle spiritualità occidentali, dal cristianesimo al culto della Grande Dea di paleolitico e neolitico. Un culto in cui il femminile e tutte le caratteristiche che oggi reputiamo mostruose e sporche, venivano valorizzate e idolatrate fino a deificarle, a credere quindi che fossero espressione diretta del divino, a partire dalle mestruazioni. Quindi la riflessione si amplia e ci chiediamo: cosa possiamo integrare di queste culture e di queste società oggi?

Valentina: Sì, anche a me piacerebbe far fiorire tantissime repliche di Feminae. Ma anche del nostro nuovo progetto, che si intitolerà Trilogia dei Sacri Elementi Scardinanti, che oltre ad esplorare a ritroso le figure femminili delle spiritualità occidentali, esplora le comunità e religioni matriarcali di paleolitico e neolitico. Ecco, quindi quello che vorremmo far fiorire è produzione, sostegno per il nostro nuovo spettacolo,ma anche tante nuove date di Feminae, per far sì che continui a girare come sta facendo, a toccare persone, a creare scambi e incontri, e che sempre più persone possano entrare in contatto con quello che facciamo.

Ho estirpato la rabbia fin da bambina,
così mi hanno insegnato.
Non ho permesso che crescesse neanche un filo,
così mi hanno insegnato:
che la rabbia è una malattia brutta
spaventosa
marcio dentro, demolito
macerie e polvere.
E allora sempre strappavo tutte le radici
e dissodavo la mia anima.
Adesso invece
io ho fame di Rabbia
di Violenza
di avere una voce che ruggisce
e graffia
perché non ho saputo
difendere i miei confini
curare il mio Tenero
non l’ho saputo fare altrimenti
E ora voglio
far risorgere
dal profondo
palazzi interi
di rabbia
grattacieli in me
e scagliare pietre e sassi
e tenere lontani tutti
voi
tutti voi che credete di poter disporre di me di poter usare solo quello che vi piace tutti voi
che credete di avere il diritto di pesarmi con questi sguardi unti di potere e pretendere –
Io risorgo
la Notte da me
Io risorgo
la Valanga da me
Io risorgo
la Morte e la Paura
detriti e cenere
contro di voi – mani senza scheletro occhi avidi bocche umide

è questo l’unico modo:
trasformarmi palude
rendermi uno spavento
aggressiva
rispondervi dirvi ripetervi
non è bastato
ancora
non è bastato
urlarvi graffiarvi scagliarvi addosso
i miei no.

Testo e voce Valentina Ghelfi
Musica e arrangiamento Selene Demaria

GhelfiDema è una collettiva performativa che dal 2021 fonde poesia e musica elettronica, attivismo e cassa dritta. Il primo progetto “Voragini Post-Sbornia” viene sviluppato con il tutoraggio di F. Niccolini e S. La Ruina e, in forma di studio, presentato all’interno della rassegna Montagne Racconta nell’estate del 2021. Le sperimentazioni successive lo trasformeranno in FEMINAE. Questa performance elettropoetica, che resta in costante evoluzione, va in scena in diversi festival e teatri in tutta Italia: Roma, Bologna, Milano, Piacenza, Cosenza e Torino. Insieme alla regista Annachiara Vispi e alla coreografa Giulia Macrì creano lo spettacolo Sei la fine del mondo (letteralmente) finalista nel 2024 ai festival In-Box, Up to You, Kilowatt Italia dei Visionari. L’ultimo progetto a cui stanno lavorando, vincitore del Bando Vandùgola 2024, è Mater Nostra, primo capitolo della Trilogia dei Sacri Elementi Scardinanti, che indaga le figure femminili nelle spiritualità occidentali, e che vede il coinvolgimento di Elvira Scorza, drammaturga e regista, per tessere insieme una nuova prospettiva sul femminile. Nel 2025 ha vinto il VI Premio Roberto Sanesi di poesia in musica.

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