Sacro Chimico | Come un fungo può reincantare il corso della Storia Pt. 2

Sa quali giochi di società si fanno oggigiorno… Vi ricorrono soprattutto i giovani, i quali vogliono ampliare la sfera del sensibile, ma con questi sistemi non si amplia nulla, piuttosto ci si abbrevia la vita.

– Ispettore Derrick

Una volta tracciati i contorni di un fenomeno parte della nostra cultura da millenni, ma sottaciuto o alla meglio, distorto, mi sono chiesto quanto fosse diffusa la conoscenza terapeutica della psichedelia tra i giovani. Ho quindi realizzato un questionario composto da 56 domande a risposta chiusa e aperta e ho intervistato un centinaio di persone, prevalentemente nella fascia d’età 18-35 anni. Le domande hanno esplorato temi quali motivazioni d’uso, esperienze mistiche, impatto sulla visione del mondo e pratiche di autocura. Il metodo di campionamento utilizzato è stato di tipo a valanga o a palla di neve, una tecnica di campionamento non probabilistico particolarmente adatta per raggiungere popolazioni difficili da individuare o su temi sensibili. Il link al questionario è stato inizialmente distribuito attraverso le mie cerchie sociali, individuando anche quelle che avevano interessi già noti nei temi legati alla spiritualità, con la richiesta ai partecipanti di inoltrarlo ulteriormente ai propri contatti, utilizzando social media e applicazioni di messaggistica. Per garantire l’anonimato e la privacy dei partecipanti, i dati sono stati raccolti in forma anonima. Mentre studi come quello di Martinotti et al. (2017) hanno esplorato l’uso di nuove sostanze psicoattive tra i giovani italiani, il mio questionario si distingue per il suo focus specifico sulle sostanze psichedeliche classiche e per l’esplorazione delle dimensioni esperienziali e spirituali associate al loro uso. Una delle cose con cui mi aveva lasciato Federico nel nostro colloquio era quanto l’esperienza psichedelica, dalle sue parole, servisse a smuovere i pattern comportamentali dai canali fissati su cui ci si blocca con l’età. Per questo, aveva detto salutandoci, non è qualcosa che dovrebbero provare i giovani. “Per loro non è così utile, anzi, credo sia potenzialmente pericoloso, dal momento che sono maggiormente suscettibili al Disturbo Percettivo Persistente da Allucinogeni”.


Nel corso degli anni, sono stati descritti e analizzati dettagliatamente i vari aspetti della psicosi acuta indotta dall’uso di allucinogeni, nonostante ciò, l’importanza clinica delle conseguenze psicologiche a lungo termine, come i cosiddetti flashback, non è ancora del tutto compresa. L’HPPD o Disturbo Percettivo Persistenze da Allucinogeni, effettivamente, consiste in episodi brevi di distorsioni percettive simili a quelle vissute durante l’uso di sostanze psichedeliche che possono verificarsi giorni, settimane, o anche mesi dopo l’uso della sostanza. Seppur il motivo non è stato ancora del tutto compreso, pare che dopo l’uso di psichedelici il cervello possa diventare più sensibile a stimoli che in precedenza non avrebbero causato tali effetti, ma non esistono ancora prove effettive e definitive di una correlazione con l’età. Attualmente, manca un modello eziologico coerente che spieghi questi effetti. Mi sono chiesto: è vero che giovani soggetti non subiscono forti processi di fissazione? E se le diffuse patologie psicologiche tra i giovani rappresentassero proprio questo fenomeno? Esistono esperienze positive di cura dalla psichedelia nei giovani? Ma anche, dal punto di vista prettamente antropologico, che valore hanno queste esperienze per loro? Quanto sono diffusi i bad trip? Ho così deciso di sondare il terreno per avere qualche informazione di prima mano. 

Ho elaborato un questionario online, ispirandomi al Mystical Experience Questionnaire (MEQ) di Walter Pahnke, adattandolo però al contesto contemporaneo italiano e includendo domande specifiche sugli aspetti socio-politici dell’esperienza psichedelica. Il mio obiettivo era quello di catturare non solo la dimensione mistica e personale dell’esperienza, che già faceva il questionario originale, ma anche le sue possibili implicazioni sulla visione politica del mondo, facendo domande che puntassero indirettamente alle tematiche del reincantamento e alla salute mentale. Ho cercato di avere un campione il più possibile variegato, la maggioranza dei partecipanti (circa il 70%) rientra nella fascia d’età 18-25 anni e rappresenta la fascia che più fa o ha fatto uso di psichedelici, contraddicendo in parte le convinzioni di Federico sull’uso giovanile di queste sostanze. Il dato suggerisce che, nonostante i potenziali rischi già citati, l’uso di queste sostanze tra i giovani italiani è una realtà estremamente diffusa e meritevole di attenzione. Il campione mostra una leggera predominanza femminile, con circa il 55% dei partecipanti che si identificano come donne, il 40% come uomini, e il restante 5% che si identifica come non binario o preferisce non specificare. Complessivamente, la maggioranza dei partecipanti (circa l’80%) si identifica come caucasica, mentre il restante 20% include individui di origine latina, mediorientale e multietnica, offrendo una limitata, ma significativa diversità etnica al campione. Dei partecipanti, il 59% ha dichiarato di aver fatto uso di sostanze psichedeliche, mentre il 41% non ne ha mai fatto uso. Tra gli utilizzatori, le sostanze più comunemente riportate sono LSD, psilocibina e, in misura minore, DMT; sostanze come la mescalina e la 2C-B risultano molto meno diffuse, con valori estremamente marginali per Salvia Divinorum e 5-MeO-DMT. 

La motivazione principale per l’uso risulta essere la curiosità, seguita dalla ricerca di crescita personale. Questo dato è particolarmente interessante, in quanto suggerisce un approccio all’uso di psichedelici che ha un valore ricreativo (che pure è presente), ma si configura come una forma di esplorazione più o meno consapevole di sé e della propria coscienza. Un aspetto che emerge con forza dalle risposte è l’intensità dell’esperienza psichedelica.

La maggior parte dei rispondenti ha valutato la propria esperienza come “intensa” o “molto intensa” (4-5 su una scala da 1 a 5). Questo dato conferma la potenza trasformativa e duratura di queste sostanze, ma impone maggiore cura nella preparazione e l’integrazione di tali esperienze nel contesto italiano, dove mancano strutture formali di supporto.

Il bad trip è un’esperienza comune tra gli intervistati, con circa il 40% che riporta di averne avuto almeno uno. Le descrizioni di questi episodi variano dalla sensazione di perdita di controllo a intense esperienze di ansia o paura. Peraltro, molti rispondenti sottolineano come anche queste esperienze difficili si siano rivelate, a posteriori, fonte di apprendimento e crescita personale. Il bad trip è inteso come opportunità di crescita, suggerendo una narrativa emergente che valorizza anche gli aspetti più difficili dell’esperienza. Un’analisi più approfondita dei dati rivela una leggera prevalenza di bad trip tra le donne rispetto agli uomini, un dato che potrebbe essere interpretato alla luce delle differenze di genere nella socializzazione emotiva e nella gestione dello stress. Nondimeno, è fondamentale sottolineare che questa correlazione richiede ulteriori indagini per essere approfondita e contestualizzata. Le testimonianze raccolte offrono uno sguardo significativo sulla fenomenologia del bad trip per i giovani. Una giovane donna descrive la sua esperienza come:

“Ovunque guardassi la realtà si tramutava in aspetti irreali. Mi sono sentita a ridosso della perdita del mio ego e in questo punto di non ritorno ho avuto molta paura. È stato nel momento in cui ho realizzato di trovarmi in questa condizione che il viaggio è diventato difficile e meno spensierato. È diventato impossibile godere dell’esperienza poiché sentivo che se mi fossi lasciata andare non avrei potuto controllare cosa sarei andata incontro.” (Donna, 18-25 anni)

Come per molti degli intervistati, è curioso apprendere come gli stati di ansia, terrore o angoscia siano legati alla percezione dell’ego che si dissolve o perde. Un’altra partecipante però riporta il focus fuori:

“Ero triste, mi è venuto un attacco di panico, pur essendo all’esterno mi sentivo oppressa dall’intorno.” (Donna, 26-35 anni)

Quest’altra testimonianza ricorda l’importanza del set e setting nell’esperienza psichedelica. Particolarmente significativa è la testimonianza di un intervistato che descrive un bad trip durante un capodanno:

“Grossa dose di psilocibina, allucinazioni molto forti (in presenza di gente a capodanno in mezzo alla natura), estremo senso di disagio sfociato in un senso totale di impotenza e vulnerabilità allo scoppio dei botti, non capivo perché stesse succedendo quello spettacolo terribile di cui non capivo il senso (intimamente) e mi terrorizzava (l’ho associato alla sensazione che gli animali provano durante la notte dei botti, ero certo si sentissero esattamente come mi sentivo io).” (Uomo, 26-35 anni)

L’amplificazione sensoriale ed emotiva indotta dagli psichedelici può trasformare eventi quotidiani in esperienze profondamente disorientanti e angoscianti. Inoltre, evidenzia la complessità dell’interazione tra l’esperienza psichedelica e il contesto culturale, in questo caso rappresentato dalla celebrazione del Capodanno. La dissonanza contestuale, la disconnessione culturale e l’empatia interspecifica osservate in questa esperienza psichedelica evidenziano un fenomeno di particolare interesse: la capacità delle sostanze psichedeliche di indurre un temporaneo distacco dai codici culturali interiorizzati. Questo decentramento culturale può essere interpretato come un potenziale strumento di analisi critica delle norme sociali e dei costrutti culturali. L’incapacità del soggetto di comprendere il significato della celebrazione del Capodanno suggerisce una momentanea sospensione dei filtri culturali che normalmente mediano la nostra interpretazione della realtà. Simultaneamente, l’identificazione empatica con gli animali indica un superamento dei confini antropocentrici tipici della cultura occidentale. Un’esperienza di deterritorializzazione culturale che sembrerebbe offrire una prospettiva unica per l’analisi dei sistemi di significato culturale, permettendo di osservare criticamente le pratiche sociali da un punto di vista esterno ai paradigmi culturali dominanti. Tenendolo a mente, è cruciale considerare che tale distacco può anche generare profondo disagio e vulnerabilità, come evidenziato dalla narrazione del soggetto. Uno degli elementi comuni in molti bad trip pare essere quello della sopraffazione dagli stimoli, con testimonianze come:

“La difficoltà sta nel riuscire ad affrontare tutto ciò che la mente ti pone davanti, stando attenti a non farsi sopraffare. Io ho avuto difficoltà nel gestire emozioni (anche solo positive) perché troppe, tutte intense, tutte assieme.” (Uomo, 18-25 anni)

“Mi sono sentita immediatamente in sovraccarico e a livello sensoriale, avevo una repulsione per suoni, luci, parole. Le mele sul davanzale mi apparivano marce e tutto mi sembrava incredibilmente grande rispetto a me.” (Donna, 18-25 anni)

e ancora:

“La mia mente andava ai mille all’ora e gli stimoli che ricevevo erano amplificatissimi, non riuscire a controllare o a rallentare questo processo, non è stato bello.” (Agender, 18-25 anni)

L’esperienza caratterizzata da una profonda perdita di controllo e un’acuta sensazione di vulnerabilità, si pone in netto contrasto con i valori fondamentali della società occidentale contemporanea, soprattutto tra i giovani, ponendo le basi per una decolonizzazione della coscienza. Conflitto che evidenzia una lacuna significativa nelle strutture culturali moderne: l’assenza di rituali di passaggio codificati che potrebbero fornire un contesto di supporto per esperienze di alterazione della coscienza. Nelle società tradizionali, tali rituali hanno sempre svolto il ruolo di cornice protettiva e interpretativa per esperienze di trascendenza del sé, offrendo un percorso culturalmente sanzionato per l’esplorazione di stati non ordinari di coscienza. La loro assenza nella cultura occidentale moderna lascia i giovani impreparati ad affrontare esperienze che sfidano radicalmente le norme di razionalità e autocontrollo. Questi rituali non solo facilitano l’esplorazione del sé, ma offrono anche un quadro di riferimento collettivo che permette agli individui di dare senso e significato alle proprie esperienze.  In netto contrasto, la cultura occidentale moderna, soprattutto a partire dalla rivoluzione industriale, ha progressivamente abbandonato molte forme di rituali comunitari di passaggio, sostituendoli con una focalizzazione sul controllo individuale e sull’autodisciplina. Il movimento psichedelico degli anni ’60, ad esempio, ha rappresentato in questo una ribellione proprio contro i suddetti valori, cercando di riaffermare una necessità rituale e da qui la fascinazione per l’oriente che poi ha esteticizzato, dimostrando l’inadeguatezza dei modelli relazionali occidentali che storicamente pongono una forte resistenza nei confronti di esperienze che sfidano il paradigma della razionalità e del controllo. Non è un caso che già durante il Medioevo, i mistici che vivevano esperienze estatiche o visioni, come Santa Teresa d’Avila o Giovanni della Croce, erano spesso considerati sospetti e talvolta perseguitati dalla Chiesa, nonostante i loro contributi spirituali fossero poi riconosciuti. Queste figure furono costrette a inquadrare le loro esperienze all’interno di una rigorosa ortodossia religiosa per evitare accuse di eresia, processo che dimostra la difficoltà storica dell’Occidente nel gestire stati di coscienza non ordinari al di fuori di contesti rigidamente codificati, la stessa ortodossia ora la applica la tecnica. Questo vuoto rituale si interseca con un’ansia da prestazione culturale pervasiva, che impone ai giovani di mantenere costantemente un’immagine di competenza e controllo (e molti intervistati infatti condividono l’ansia della percezione esterna durante il trip e di dover apparire come se sapessero cosa stava succedendo). Possiamo leggerlo come il sintomo di una più ampia tensione culturale: l’inadeguatezza dei modelli occidentali di identità individuale e controllo di fronte a stati di coscienza che sfidano fondamentalmente questi costrutti. È interessante notare come, nonostante l’intensità di queste esperienze negative, molti intervistati le inquadrino a posteriori come opportunità di crescita e apprendimento. Un’altra conferma dell’importanza dell’integrazione, processo capace di risignificare anche le esperienze più difficili, reintepretandole come potenziali catalizzatori di trasformazione personale.


Una giovane riporta:

“Quel giorno più che mai ho capito che il tuo stato d’animo e l’ambiente in cui ti trovi fanno quasi tutto su come ti vivrai l’esperienza.” (Uomo, 18-25 anni)

Oppure:

“I viaggi sono tutti difficili se li rendi tali.” (Uomo, 18-25 anni)

La mancanza di strutture formali di supporto e la natura spesso clandestina di queste pratiche pongono sfide significative, ma le opportunità per l’elaborazione di nuovi modelli di cura e accompagnamento rimangono. In questo senso, il fenomeno del bad trip diventa un campo di indagine cruciale per comprendere le dinamiche più profonde dell’incontro tra la psiche culturalmente formata e l’alterità radicale dell’esperienza psichedelica, per una sana crescita post-traumatica. A distanza di tempo, molti intervistati riconoscono una diminuzione della paura della morte e una maggiore accettazione della sua inevitabilità. Alcuni esempi sono:

“Una sorta di disillusione (“non sono importante”) totalmente liberatoria.” (Agender, 18-25 anni)

“Ho meno paura della morte e durante il trip sentivo che la vita fosse finalizzata a vivere ogni momento. Non è facile poi applicare queste sensazioni alla vita ordinaria, ma le ricordo e posso ancora sentirle bene.” (Uomo, 18-25 anni) 

“Hanno confermato le mie idee sulla morte, ovvero che è quello che è, mentre mi sono sentito più positivo verso la vita e più meravigliato dalle cose e dell’unicità di essa.” (Preferisco non rispondere al genere, 18-25 anni)

L’impatto dell’esperienza psichedelica sulla spiritualità e sul senso di connessione con la natura emerge come un altro tema centrale, fin dalla prima volta, come analizzato in Watts et al. (2017), dividendo la classificazione in: (1) con sé, (2) con gli altri e (3) con il mondo. Molti intervistati riportano un aumento significativo del proprio senso di interconnessione con l’universo e una maggiore apertura verso esperienze spirituali. Sulla scala da 1 a 5, la maggior parte dei rispondenti ha valutato questo cambiamento tra 4 e 5, indicando un impatto considerevole e profondo. Una partecipante descrive: 

“Le esperienze psichedeliche hanno incrementato in me la sensazione di sentirmi al sicuro e forte quando mi trovo in mezzo alla natura e con la natura.” (Donna, 18-25 anni)

Molte delle testimonianze rivelano un riorientamento di un rapporto che potremmo definire di coscienza ecologica latente. La biofilia di Edward O. Wilson trova qui una manifestazione vivida e immediata. Molte risposte sembrano suggerire che l’esperienza psichedelica possa riattivare una connessione primordiale con l’ambiente naturale, un superamento della dicotomia natura-cultura tipica del pensiero occidentale moderno, riecheggiando invece concezioni più olistiche presenti in molte cosmologie indigene. Particolarmente chiara è la testimonianza di un rispondente che racconta:

“Ho riscontrato più empatia verso le vite degli altri esseri viventi, animali o piante.” (Uomo, 18-25 anni)

O ancora, una giovane intervistata:

“Interconnessione, esattamente quello che senti verso l’altro. Si può arrivare a provare un’empatia viscerale.” (Donna, 18-25 anni)

Il già ben documentato aumento dell’empatia verso altri esseri viventi, incluse le piante, da molti testimoni è raccontato quasi come se l’Altro divenisse un’appendice cognitiva, una forma di mente estesa, ma psichedelica. Quest’esperienza di interconnessione ritrova una dimensione più profonda nel concetto di carne del mondo  di Merleau-Ponty. In questa prospettiva, la mente estesa psichedelica non sarebbe semplicemente un’espansione dei confini cognitivi individuali, ma una rivelazione della fondamentale inseparabilità tra soggetto percepiente e mondo percepito. Se Merleau-Ponty considerava il linguaggio come un’estensione del gesto corporeo, l’esperienza psichedelica, con la sua capacità di alterare profondamente la relazione con il linguaggio e i simboli, allora offrirebbe intuizioni sulla natura incarnata e contestuale del significato. Una forma di conoscenza sentita (felt sense) pre-linguistica e somatica che attraverso una forma di prospettivismo (supposto) potrebbe portare ad una sensibilità intraspecista. Nell’ambito italiano, questa esperienza potrebbe essere interpretata come una forma di animismo contemporaneo, dove l’alterità radicale dell’esperienza psichedelica apre a modi di relazione con il non-umano tipici di ontologie altre rispetto a quella naturalista dominante in Occidente. Molti intervistati, quando interrogati sul tema del rapporto con la natura e l’universo, parlano di un’aumentata interconnessione ed empatia: 

“Mi sentivo parte più intensamente della realtà e della natura che mi circondava. Io e un albero avevamo la stessa complessità.” (Uomo, 18-25 anni)

“Per quanto possa sembrare una cosa assurda e al limite del surreale, c’è stata un’occasione in cui mi sono “trasformata” in una roccia per qualche ora, apprezzandone la staticità in mezzo a un prato mosso dal vento. Ero lì, esistevo ed ero parte della natura.” (Donna, 18-25 anni)

“Mi sentivo in connessione più profonda con il mondo. Esistere era un atto vivido, cosa non banale nella mia quotidianità. C’era un intensità di essenza nel mio stare.” (Uomo, 18-25 anni)

“Con la natura moltissimo, ma anche con il paesaggio urbano. Con le persone che mi stavano accanto. L’universo è già dentro di noi se ci pensi bene, non devi per forza condividere un’esperienza psichedelica per ricordati che sei fatto dello stesso elemento: basta una trasfusione di sangue o un dolore molto forte. La vita è fatta di scambi del genere. Ma siamo animali che preferiscono solitamente relazioni più superficiali e meno invasive con ciò che ci circonda. La psilocibina, così come l’LSD o la DMT ti ricorda di cosa sei fatto e perché non sei separato dal resto.” (Uomo, 26-35 anni)

Questa sensazione di interconnessione è stata ampiamente documentata nella letteratura sugli psichedelici, ma assume un significato particolare se si pensa che tutti quelli che lo hanno affermato erano molto giovani. Molti dei discorsi tornano con un’idea critica nei confronti della società, ma anche con un’esperienza di intensificazione dell’esistenza stessa, facendo diventare i soggetti una critica embodied delle strutture socio-economiche dominanti. Un accesso laico a stati di coscienza tradizionalmente associati a pratiche religiose o meditative, l’essere-nel-mondo o il Dasein a cui si accede chimicamente, il dilemma-paradosso del vivere con altri esseri umani mentre si esiste, fondamentalmente, soli con sé stessi che viene risolto da un superamento dell’individuo, in una forma di pleroma jungiana come descritta nel Sette sermoni ai morti

“La prima volta con l’LSD mi ha sicuramente riavvicinato alla natura, con la quale avevo perso contatto da un po’. In generale mi ha insegnato a pensare spesso fuori dagli schemi, a capire che la vita può essere anche di più della società che abbiamo costruito come esseri umani.” (Uomo, 18-25 anni)

Una partecipante racconta: 

“Nella mia prima esperienza con l’LSD ho visto come l’anima delle cose attorno a me, vedevo come una quadridimensione degli oggetti, degli alberi, nel frattempo stavo ascoltando i Tool e penso di aver capito la canzone Lateralus. Sentivo che tutta la materia esistente è collegata da un unica essenza, come se fossimo fatti della stessa materia di ogni cosa che c’è sulla terra. Come fossimo un’unica coscienza, inoltre i colori erano più luminosi. Ho visto la meraviglia che si nasconde dietro le cose, la mia visione del mondo è cambiata per sempre da quel momento.” (Donna, 18-25 anni)

Se Mircea Eliade aveva definito hierofania la capacità di determinati elementi naturali  di manifestarsi come portatori di un significato sacro, allora gli psichedelici sono un agente “hierofante”. Il legame si può instaurare anche tra altre persone, in viaggio o meno:

“Quando poi mi sono stabilizzata e tutto è diventato curiosità di vivere, ho sentito la necessità di raffigurare quello che avevo attorno a me. mi sono seduta al centro degli alberi e ho cominciato a disegnare con quello che, oggi, è il mio ragazzo. quando si toccavano due colori, ci toccavamo noi. una piccola scossa, data dalle sorprese che ogni disegno celava spontaneamente. credo di aver imparato lì a divertirmi solamente creando e che ciò abbia contribuito a decostruire e ricostruire il mio stile. la cosa che trovo più interessante è che ogni disegno ha qualcosa di molto “primo” in sé. sporcando per sbaglio i fogli di terra, ho persino cercato di ricalcare le mie visual: era come se nella polvere riuscissi a vedere, mentre sul foglio bianco no. ricordo che ad occhi chiusi avevo delle allucinazioni di ingranaggi, matasse di oggetti riconoscibili e non.” (Donna, 18-25 anni)

O ancora:

“Durante la mia prima esperienza un profondo e tenero amore per la realtà che mi stava circondato a riscaldato il mio cuore, dissipando la diffidenza e il timore verso l’altro. Mi sono sentita come se il mio abbraccio potesse cogliere tutte le persone del mondo, e non ho avuto paura di intervenire durante un brutto litigio tra una coppia incontrata durante l’esperienza. Mi sembrava di avere le risposte ad ogni preoccupazione, e che queste risposte giacessero nella semplice calma, nel respiro e nel potere di trascendere dalle difficoltà quotidiane e materiali.” (Donna, 18-25 anni)

Un altro rispondente descrive la sua prima esperienza significativa così:

“Mi ha fatto percepire come se le cose, naturali e non, fossero letteralmente collegate da un filo invisibile. Le foglie tremavano leggermente come scosse da una danza coreografata dal vento e gli alberi, per la prima volta, mi hanno dimostrato di respirare, come se la loro corteccia si potesse muovere esattamente come la nostra gabbia toracica.” (Donna, 18-25 anni)

La percezione unificata, primariamente descritta da Aldous Huxley ne Le porte della percezione, attraversa tangentemente tutte le testimonianze, anzi, l’esperienza psichedelica sembra aver facilitato un accesso a modalità di percezione e creazione più fluide e integrate, sfumando i confini tra le diverse modalità sensoriali e espressive. Anche quando non si parla direttamente di dissoluzione dell’ego, molti degli stati di coscienza descritti richiamano una forma di coscienza cosmica o più semplicemente di sentimento oceanico, come descritto da Rolland e discusso da Freud; una base laica del senso del sacro, proprio della dimensione spirituale, una nostalgia dell’infinito da considerare come categoria ontologica dell’umanità. L’accesso percepito a una forma di conoscenza intuitiva e trascendente emerge da passaggi come quelli in cui si parla dell’idea di avere ‘le risposte ad ogni preoccupazione’ e la capacità di ‘trascendere dalle difficoltà quotidiane e materiali’ proprio come descritto nelle esperienze mistiche tradizionali. 

Un altro aspetto che emerge con forza dalle risposte, infatti, è l’impatto dell’esperienza psichedelica, complesso e sfaccettato, sulla visione politica e sociale dei partecipanti. I dati quantitativi mostrano una tendenza generale verso una maggiore sensibilità politica e una visione più critica delle strutture socio-economiche dominanti, sebbene con variazioni significative tra i diversi aspetti indagati. Particolarmente rilevante è la risposta alla domanda “Hai sperimentato una visione di una società organizzata in modo radicalmente diverso dall’attuale sistema capitalista?”, dove la maggioranza dei rispondenti ha indicato valori tra 3 e 5 su una scala da 1 a 5. Parrebbe che l’esperienza psichedelica possa fungere da catalizzatore per l’immaginazione di alternative socio-politiche che attinge dal capitale dei comportamenti pre-ecologici. Nel contesto italiano, caratterizzato da una lunga tradizione di pensiero utopico e movimenti sociali radicali, queste visioni possono essere interpretate come una riattivazione di potenzialità latenti nell’immaginario collettivo. E la cosa assume ancora più valore se si considera che negli ultimi due secoli, la sfera economica non è mai stata così preponderante rispetto ai legami sociali come nell’Occidente. Questa innaturale predominanza ha portato antropologi e studiosi delle origini a riconsiderare il percorso di sviluppo dell’umanità dalla preistoria alla storia. Come asserito da Pierre Clastres, tale percorso non è una successione lineare dal più semplice al più complesso, ma è un processo che ha visto intere comunità costruire città e momenti di aggregazione basati sul sacro, mantenendo uno stile di vita da cacciatori-raccoglitori senza differenziazioni sociali e fortificazioni, oppure con stratificazioni sociali che non comportavano un differenziale di potere. La rivoluzione agricola, ad esempio, avrebbe impiegato almeno tremila anni per affermarsi, con alcuni esempi di abbandono a favore di un ritorno alla caccia e alla raccolta. Risulta illuminante il mastodontico lavoro del sociologo anarchico David Graeber, in particolare il suo libro L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità, scritto con l’archeologo David Wengrow e pubblicato nel 2022. L’opera evidenzia come diverse culture abbiano costruito società pacifiche e governate da donne, con culti femminili, senza che ciò comportasse un passaggio lineare alla società agricola. Non a caso uno dei ritornelli del libro è non siamo mai stati stupidi, è solo che ora abbiamo poca fantasia, anche nel guardare e immaginare il passato. La domanda “L’esperienza ti ha fatto percepire il tempo e il lavoro in modo diverso rispetto alla concezione capitalista?” ha ricevuto risposte particolarmente polarizzate, con il 66% che ha risposto valori tra il 3 (18%) e il 5 (27%). E se il fungo fosse quindi una forma di tecnologia cognitiva che permette di accedere a modi di pensare e percepire al di fuori dei paradigmi culturali dominanti? Ed è proprio questo allineamento tra le visioni indotte dalle sostanze psichedeliche e le recenti rivalutazioni antropologiche della storia umana a suggerire che le esperienze possono avere un ruolo nel re-incantamento del mondo sociale e politico. È interessante notare come la domanda “Hai sperimentato un senso di sacralità o riverenza verso la natura che ha messo in discussione l’attuale sistema di produzione e consumo?” abbia ricevuto punteggi generalmente molto alti. Questo dato è un’ulteriore conferma della connessione tra l’esperienza di reincantamento della natura e una critica ecologica al sistema produttivo dominante, che potrebbe rappresentare un terreno fertile per l’emergere di nuove forme di attivismo ecologico. In serie, sono ugualmente interessanti le risposte alla domanda “Hai provato un senso di gioia o liberazione dall’immaginare un mondo oltre le attuali strutture economiche?”, che ha ricevuto punteggi generalmente alti così come alla domanda “Hai sperimentato un senso di dissoluzione dell’identità individuale in favore di una coscienza collettiva o comunitaria?”. Se la psichedelia offre un’esperienza diretta di modalità di soggettivazione alternative all’individualismo liberal-borghese, in forma transindividuale, le porte si spalancano su forme di organizzazione altra che tanto avevano stimolato Fisher nei suoi ultimi scritti. Le risposte aperte offrono ulteriori approfondimenti su questi temi. Diversi intervistati dicono di aver  avuto la sensazione che la visione politica non potesse essere descritta adeguatamente a parole, un’affermazione che evoca certo il concetto di ineffabilità tipico delle esperienze mistiche, ma che nel contesto politico potrebbe essere interpretata come una critica implicita ai limiti del linguaggio politico convenzionale nel descrivere modalità alternative di organizzazione sociale. Il desiderio rivoluzionario è proprio quel desiderio che non si accontenta dell’esistente, ma che mira a creare nuove forme di vita, nuove relazioni sociali e nuove modalità di produzione. In questo senso, se si può parlare di (e nel caso, facciamolo) politica psichedelica emergente allora non si tratta tanto un progetto utopico teso al futuro, quanto l’emergere di nuove forme di politica prefigurativa che cercano di incarnare, nel presente, le relazioni sociali desiderate per il futuro. Resta da considerare che l’impatto politico dell’esperienza psichedelica appare fortemente mediato dal contesto culturale e dal background ideologico dei partecipanti. Questo suggerisce la necessità di ulteriori ricerche per comprendere come queste esperienze si inseriscano nelle traiettorie politiche individuali e collettive nel contesto italiano contemporaneo.

Durante le mie osservazioni sul campo, numerosi partecipanti hanno riportato sensazioni di profonda connessione con il mondo e cambiamenti nelle loro credenze metafisiche e i dati quantitativi del questionario non sono da meno e mostrano una tendenza generale verso esperienze di carattere mistico, con variazioni significative tra i diversi aspetti indagati. La domanda “Hai sperimentato una sensazione di unità o fusione con l’universo o la natura nel suo insieme?” ha ricevuto punteggi generalmente alti, con la maggioranza delle risposte tra 4 e 5 su una scala da 1 a 5. L’esperienza di unità cosmica, tradizionalmente associata alle pratiche mistiche di diverse tradizioni religiose, è un elemento centrale dell’esperienza psichedelica per molti giovani, anche per quelli dichiaratisi “non interessati a tematiche religiose”; non si tratta semplicemente di spiritualità senza religione (SBNR), ma del fatto che le categorie preconcette non sono più  adeguate per incapsulare la complessità delle esperienze spirituali attuali. Il tratto distintivo di queste nuove forme di spiritualità non risiede tanto in un set condiviso di credenze o rituali, quanto in un atteggiamento di ricerca attiva. Gli individui si vedono come esploratori in un viaggio personale alla scoperta di un senso profondo dell’esistenza. In questo senso, si  segna un distacco significativo dalle forme convenzionali di religiosità. L’esperienza diretta (e nel caso degli psichedelici, non mediata) e l’esplorazione autonoma assumono un ruolo centrale, spesso portando gli individui a distanziarsi dalle strutture religiose tradizionali. Particolarmente significative sono le risposte alla domanda “Hai avuto la sensazione che l’esperienza non potesse essere descritta adeguatamente a parole?”, che ha ricevuto punteggi prevalentemente alti. Ancora una volta, l’ineffabilità mistica dove forse la difficoltà di articolazione linguistica incontra forme di conoscenza non discorsive, sfidando il primato della razionalità logico-linguistica. La domanda “Hai avuto la sensazione di trascendere il tempo e lo spazio?” ha ricevuto risposte generalmente molto positive, confermando  l’accesso a modalità di percezione spazio-temporale alternative a quelle della coscienza ordinaria; il valore delle esperienze di trascendenza temporale da molti intervistati risalta come una forma di resistenza all’accelerazione sociale della tarda modernità. Anche la domanda “Hai sperimentato un senso di sacralità o riverenza?” ha ricevuto punteggi generalmente alti. Sottolineo nuovamente come questa sacralità sembri emergere al di fuori delle strutture religiose tradizionali. Sebbene l’attuale tendenza verso una spiritualità individualizzata possa apparire come un fenomeno prettamente contemporaneo, un’analisi più approfondita rivela le sue radici storiche nelle tradizioni mistiche di diverse culture religiose. Nel contesto cristiano, ad esempio, si possono rintracciare numerosi movimenti che, nel corso dei secoli, hanno perseguito un’esperienza più immediata e profonda del divino come la devotio moderna, i catari o il quietismo. Questo pattern non è esclusivo del cristianesimo, ma si manifesta trasversalmente nelle principali tradizioni religiose globali. Ne sono esempi emblematici lo zen nel buddhismo, con la sua enfasi sulla meditazione e l’illuminazione personale o il sufismo nell’Islam, caratterizzato da pratiche estatiche e poetiche (si pensi alle descrizioni dell’estasi mistica, dell’unione e dell’amore da parte di Rumi, molto bene descritte da Alessandro Bausani). Questo riemergere di una ricerca spirituale individuale e compositiva fornisce un framework per la costruzione di significato e per l’esperienza di connessione che oltrepassa i confini tradizionali di temporalità, spazialità e affiliazione religiosa istituzionalizzata. 


Mentre alcune forme di spiritualità SBNR possono essere facilmente cooptate e commercializzate all’interno del sistema capitalistico (si pensi al mercato del benessere e della mindfulness), l’esperienza psichedelica, con la sua natura radicale e potenzialmente sovversiva, si presta meno a questo tipo di assimilazione. Perché quello che resta presente e protagonista in molte forme di ricerca, è l’ego. Concettualmente, si può considerare l’ego come una forza contraria alla connessione. In Carhart-Harris et al. (2017) si considera, ad esempio, la cosiddetta inflazione dell’ego, i cui punteggi sono positivamente correlati con l’uso di cocaina e negativamente con l’uso di psichedelici. La connessione è particolarmente interessante come costrutto perché porta significato sia in senso meccanicistico che soggettivo. Il riscontro di un aumento della connettività funzionale globale nel cervello psichedelico e la sua relazione con la dissoluzione dell’ego può essere considerato un possibile correlato neurale dell’esperienza unitaria, ovvero la connessione nella sua forma acuta. Carhart-Harris et al. (2017) ritengono che il fattore terapeutico fondamentale della psichedelia sia proprio la connessione. Questo si allinea con il fatto che un senso di disconnessione sia uno dei sintomi chiave di diversi disordini psichiatrici tra cui la depressione, mentre un senso di connessione sia considerato uno degli elementi fondativi del benessere psicologico. Nel contesto dei giovani, caratterizzato da alti livelli di stress e ansia sociale, l’effetto di maggiore resilienza emotiva potrebbe avere importanti implicazioni per la salute mentale pubblica. In ogni caso, come questo si relazioni a sentimenti di connessione a lungo termine è una questione più difficile. L’esperienza unitaria lascia una traccia di memoria duratura, analoga all’effetto visione d’insieme sperimentato da alcuni astronauti, caratterizzato da un senso di meraviglia e percezione della piccolezza di fronte alla vastità , oppure l’esperienza psichedelica causa cambiamenti anatomici e/o funzionali duraturi nel cervello? Le risposte aperte offrono ulteriori approfondimenti su questi temi e variano da esperienze nooetiche a visioni beatifiche ereditate dalla tradizione cristiana, tratteggiando i contorni di forme di spiritualità post-secolare, per usare l’espressione del sociologo Jürgen Habermas. Contemporaneamente si parla di verità e di ineffabile. In questo senso, la mistica psichedelica emergente (o riemergente), condizione emotivamente molto forte (Roseman et al., 2018) potrebbe essere la manifestazione della volontà di riconciliare l’eredità dell’Illuminismo con il bisogno di trascendenza.

“è stato l’inizio del mio percepire l’esistenza con maggiore consapevolezza. come se mi avesse sbloccato dal “vivere in automatico”, che mi portava a dare importanza solamente alla mia vita. ora soffro perché mi rendo conto delle tante sfaccettature dell’umanità e devo costruirmi un senso, da sola, che credo di aver perso; nel contempo, sento che forse è proprio questo.” (Donna, 18-25 anni)

“Il punto è che non si torna indietro: il nostro cervello è settato in un modo per cui non dovrebbe farci vivere lucidamente certe esperienze “limite”, per così dire. Il compito dello psichedelico è appunto quello di alterare l’Io per far passare l’Es dallo spioncino. Posso dire che è stato come se da allora fossi un’altra persona.” (Uomo, 26-35 anni)

“Sono sempre stato una persona con dei paletti e un illusione di regole. Dopo un particolare viaggio di lsd ho iniziato a uscire da quell’illusione e a rendermi conto di che cosa sia veramente la libertà” (Uomo, 18-25 anni)

“ridevo forte, ma avevo paura di perdermi dentro quel respirare, quel salire e scendere delle cose, il capire tutto ( continuavo a ripeterlo durante il trip: “adesso capisco”, “ecco perché”, farneticando pensieri che non riuscivo nemmeno a processare consciamente ) senza saperlo spiegare a parole. per un po’ di tempo sono stata certa che questo trip mi avesse cancellato il linguaggio. la verità è che adesso presto molta più attenzione a quello che dico. rifletto molto prima di esprimermi e questo mi porta spesso a non parlare troppo ad alta voce.” (Donna, 18-25 anni)

Ritornano le parole di Huxley, dal suo breve saggio Cultura e individuo:

“La conoscenza della storia passata e presente e delle culture in tutta la loro fantastica varietà, e la conoscenza della natura e dei limiti della lingua, dei suoi usi ed abusi, sono fondamentali. Un uomo il quale sa che sono esistite molte culture, e che ogni cultura pretende di essere la migliore e la più vera di tutte, troverà difficile prendere troppo sul serio i venti e i dogmatismi della propria tradizione. Allo stesso modo, un uomo che sa come i simboli siano collegati con l’esperienza e che pratica quel genere di autocontrollo insegnato dai divulgatori delle semantiche generali, difficilmente prende con troppa serietà quella sciocchezza assurda e pericolosa che, presso ogni cultura, passa per filosofia, spirito pratico e polemica politica. Come fece notare molti anni fa William James, la coscienza ordinaria non è che un tipo di coscienza, e, tutt’intorno ad essa, separate da essa dal più sottile degli schermi, esistono potenziali forme di coscienza completamente diverse. Noi possiamo passare la vita senza sospettare della loro esistenza, ma basta applicare un dato stimolo perché con un lieve tocco si rivelino in tutta la loro pienezza dei ben precisi tipi di mentalità che probabilmente hanno un qualche campo di applicazione e di adattamento. Nessuna concezione dell’universo nella sua totalità può essere definita senza prendere in considerazione queste forme di coscienza. Al pari della cultura da cui è condizionata, la normale coscienza in stato di veglia è nel contempo il nostro miglior amico e il più pericoloso dei nemici. Essa ci aiuta a sopravvivere ed a progredire, ma nello stesso tempo ci impedisce di applicare alcune delle nostre più preziose potenzialità e, a volte, ci procura ogni sorta di guai. Per diventare pienamente umano, l’uomo, il fiero uomo, l’autore di trucchi fantastici, deve imparare un nuovo sistema, e solo dopo le sue infinite facoltà e la sua intelligenza angelica avranno la possibilità di affiorare alla superficie. Dobbiamo, secondo le parole di Blake, “spalancare le porte della percezione,” poiché “quando le porte della percezione sono spalancate ogni cosa appare all’uomo quale è, cioè infinita.” Per la normale coscienza dell’uomo sveglio le cose sono incarnazioni rigorosamente finite e isolate di etichette verbali. Dobbiamo imparare a spezzare questi limiti percettivi.”

Aldous Huxley, “Cultura e individuo”, da “LSD, la droga che dilata la coscienza”, a cura di D. Salomon

Torniamo alla domanda iniziale, davvero i giovani non sono soggetti a fenomeni di fissazione? I benefici sembrerebbero emergere dalle loro testimonianze e ciò vuol dire che un malessere è ugualmente diffuso. Federico Campagna propone che la crisi contemporanea sia essenzialmente una crisi di paradigma epistemologico che richiede una rivoluzione metafisico-teologica, proponendo la magia come sistema di realtà alternativo. Secondo Campagna, la tecnica opera attraverso un linguaggio assoluto che determina cosa può essere considerato reale, relegando ciò che non può essere descritto in questo linguaggio al regno della superstizione. Ho parlato a lungo di sovrastimolo digitale e forse questa è proprio la fissazione per cui gli psichedelici potrebbero essere l’antidoto. Mentre il sovrastimolo digitale e la cultura memetica tendono a produrre una sorta di anestesia emotiva, gli psichedelici sembrano in grado di risvegliare la sensibilità e la capacità di meravigliarsi, contrastando l’appiattimento affettivo tipico della depressione. Inoltre, l’esperienza di dissoluzione dell’ego indotta dagli psichedelici potrebbe offrire un antidoto al narcisismo difensivo alimentato dai social media. Diversi studi hanno infatti evidenziato come l’uso di psichedelici possa aumentare i tratti di personalità legati all’apertura e alla connessione interpersonale, contrastando la tendenza all’isolamento e all’alienazione. In questo contesto, le sostanze psichedeliche potrebbero offrire un antidoto, una via di fuga dal loop dell’iper-stimolazione digitale. Come teorizzato da Robin Carhart-Harris con il già citato modello del cervello entropico, gli psichedelici sembrano infatti in grado di resettare i circuiti neurali cristallizzati, aumentando temporaneamente l’entropia cerebrale e aprendo la strada a nuove connessioni e prospettive. Una lettura che coincide in toto con quella data da Federico nel suo uso auto-terapeutico. Carhart-Harris usa la metafora di un colle innevato per spiegare questo processo: la mente è come un pendio su cui si formano dei solchi, corrispondenti alle nostre abitudini mentali e comportamentali. Con il tempo questi solchi tendono ad approfondirsi, limitando la nostra flessibilità cognitiva. Gli psichedelici agirebbero come una nuova nevicata, livellando temporaneamente il terreno e permettendo la formazione di nuovi sentieri. Questo effetto di reset neurale potrebbe contrastare la rigidità cognitiva e i loop di pensiero tipici di disturbi come depressione e dipendenze, favorendo invece stati di aumentata consapevolezza, apertura all’esperienza e connessione con sé stessi e con l’ambiente. Non a caso, le ricerche più recenti stanno evidenziando il potenziale terapeutico degli psichedelici proprio per questi disturbi. Uno dei meccanismi che sembra spiegare questo processo, come si è detto in precedenza, è la temporanea diminuzione dell’attività del DMN (Default Mode Network), network considerato il direttore d’orchestra delle attività cerebrali, che pare essere anche la sede dei discorsi sul sé, dell’autoriflessione e, per analogia col modello freudiano, dell’Io. Diventa così interessante notare come basse intensità di lavoro del DMN siano state riscontrate durante meditazioni, respirazioni olotropiche, digiuni (tutte attività legate alla spiritualità e alla religione) e psichedelici. Al contrario, alcuni studi suggeriscono, seppur necessitando di ulteriori prove, che l’uso intensivo dei social media sarebbe in grado di aumentare l’attività in alcune regioni associate al DMN, in particolare quelle legate al pensiero auto-referenziale e alla ruminazione. Del Dosso e Nicolaus hanno analizzato inoltre in modo brillante le similitudini e le differenze tra l’uso di Internet e l’esperienza psichedelica e rimando ai loro testi. Per concludere questa seconda sezione voglio però sottolineare che gli psichedelici non sono una panacea e il loro uso deve necessariamente essere integrato in un approccio più ampio di cura di sé e ripensamento delle strutture sociali, relazionali e lavorative e di reincantamento generale. Come suggerisce la metafora del colle innevato, serve infatti un lavoro attivo e consapevole per tracciare nuovi sentieri funzionali una volta che il terreno è stato livellato. La psichedelia potrebbe essere considerata come parte di un approccio più ampio che includa pratiche come la mindfulness, la psicoterapia e un uso cosciente delle tecnologie. In una svolta di respiro più ampio, si potrebbe includere la creazione di piattaforme e applicazioni che promuovano il benessere degli utenti invece che la massimizzazione dell’engagement, open source e peer to peer da sostituire ai colossi attuali e l’integrazione di pratiche come la meditazione e la mindfulness nella vita quotidiana come contrapposizione al flusso costante di stimoli digitali.


Abbiamo bisogno di nuove nevicate che ci permettano di tracciare sentieri alternativi, sfuggendo ai solchi profondi delle abitudini mentali cristallizzate. Allo stesso tempo, le intuizioni derivanti dalla ricerca psichedelica possono aiutare e coadiuvare lo sviluppo di tecnologie e pratiche digitali più in sintonia con i ritmi naturali della mente umana. Il reincantamento non è quindi un ritorno nostalgico a un passato idealizzato, ma un invito a riscoprire il mistero e la meraviglia nel cuore stesso della modernità tecnologica, per trascendere i limiti del paradigma tecno-capitalistico dominante. Un equilibrio delicato, ma forse necessario per navigare le acque tumultuose del presente. Ripenso al famoso discorso ai neolaureati del Kenyon College tenuto da David Foster Wallace nel 2005:

“[…] il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificanti e poco attraenti.”


Mirko Vercelli (Torino, 2000) è laureato in antropologia all’Università di Torino. Si occupa di cultura pop, politica e media. Ha pubblicato il romanzo Linea Retta (bookabook, 2021) e il saggio Memenichilismo (Novalogos, 2024). Vincitore, con il Maltempo Collettivo, della quinta edizione del Premio Roberto Sanesi, con cui ha prodotto l’album spoken word music Gli strumenti della solitudine. Ha scritto, tra gli altri, per «Neutopia», «Not» e «Lucy».

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