Rosaria Lo Russo – poeta, performer e autrice finalista alla seconda edizione dello Strega Poesia con la sua silloge “Tande” (Vydia, 2023), prima classificata ex aequo al Premio Bologna in Lettere 2024 – di recente ha curato, oltre a “Il libro della follia”, la traduzione italiana del più popolare tra i libri di Anne Sexton, “Trasformazioni”, edito quest’anno da La Nave di Teseo. Ne abbiamo parlato con la diretta interessata.

Buongiorno Rosaria, ti ringraziamo per avere accettato il nostro invito. Con la sua Morfologia, Propp ha indagato le funzioni delle fiabe e la loro portata antropologica, spesso legata alla rottura di un divieto da parte dell’eroina che innesca il flusso della narrazione. In Trasformazioni (1971), i personaggi femminili hanno un ruolo cruciale: spostando il punto di vista attraverso la parodia, senza per questo perdere l’aspetto tragico, l’autrice vivifica il compito della fiaba sottraendola alla tradizione dei fratelli Grimm, per riattualizzarla. La stessa Anne Sexton gestisce il racconto dall’interno, presentandosi come “strega di mezza età”, con “la faccia dentro a un libro” e “la bocca spalancata”. Si può dire che la poesia di Sexton sta contravvenendo alla regola del silenzio?
Tutta la vita e l’opera di Anne Sexton sono una contraddizione, a partire dalla contraddizione numero uno, quella della regola del silenzio. Nata in un ambiente, sia cittadino, Boston, che familiare, dalle radicatissime regole di comportamento puritano, Anne queste regole le ha contraddette e contraffatte tutte. La sua vita contro la società è iniziata involontariamente e prestissimo, servendosi del grande alibi letterario della malattia mentale. Attraversando senza regole e silenzi la malattia che oggi diciamo bipolare e che allora si chiamava isterismo, e che oggi pare essere piuttosto una postura della lingua che una malattia, malattia precipuamente femminile sin dall’etimologia, Anne Sexton non ha voluto essere una donna borghese americana degli anni ’50 e ’60 del Novecento. Così, nel suo mondo in versi, ha inventato gli anni Settanta, quegli anni rivoluzionari quanto a costume, società, cultura generale, letteratura, modi di vivere, sulla cui evoluzione ancora la poesia prospera, la poesia intendo dire che non è caduta nel gorgo cosmetico del riflusso anni Ottanta e così via. Le poesie della Sexton, specialmente quelle che ancora non sono uscite in traduzione italiana, quelle uscite postume, a cura di sua figlia Linda, la sua curatrice testamentaria letteraria, sembrano scritte oggi, da una ragazza drogata, alcolizzata, depressa, ironica, disperata e vivacissima.
Con Trasformazioni, ma ancor più con le sue opere postume, Anne Sexton ha rovesciato parodicamente – e dal punto di vista della scrittura per mano di donna – l’antropologia letteraria della “fiaba” occidentale, della narrazione sociale del rapporto fra i sessi.
Il proppiano tracciato rituale di iniziazione alla accettazione delle regole della comunità, l’iter burocratico per entrare a far parte della società, Sexton l’ha contrastato, contraffacendone i tratti, in ogni piega della sua scrittura in versi. L’eroina dei Grimm finisce per vivere col marito e i figli tutti felici e contenti. L’eroina sextoniana si trova, alla fine di ogni riscrittura, con un pugno di mosche in mano quanto a realizzazione del sogno americano della famiglia borghese perfetta: si trova vanificata. Ed è talmente totalizzante il suo ripercorrere l’orrore dell’iniziazione femminile alla donnità repressa che nell’ultima figura, Rosaspina, allude alla sua vita direttamente e soprattutto al suo futuro, imminente, al suicidio, evidentemente già programmato come performance contro la regola della Principessa a favore di quella della Strega/Madrina Cattiva, che è poi un’altra proiezione autobiografica, anzi colei che racconta la trasformazione della favola della signora borghese americana nell’incubo della donna americana che in questo cliché proprio non poteva abitare, al punto di optare per la pazzia. Non abitare il ruolo tradizionale di donna però significava anche non poter abitare il suo corpo di donna, moglie, madre e infine – con troppa autosvalutazione e poca fiducia – grandissima poeta. E così ci ha lasciate sole troppo presto a vedercela coi mostri.

Nella tua traduzione hai scelto di naturalizzare il testo per renderlo più vicino al lettore italiano. Perciò compaiono, insieme ai personaggi delle fiabe come Cappuccetto Rosso e Raperonzolo, le gemelle Kessler e il Maurizio Costanzo Show. Oppure, in Hänsel e Gretel, il «fudge» diventa una caramella Mou. Ciò consente al testo, maneggiato con sapienza, di ottenere pragmaticamente lo stesso effetto di comicità e implicazione in chi legge, attingendo alle culture popolari contemporanee del Paese di partenza e di arrivo. Quanto, secondo la tua esperienza, il contesto in cui un libro si inserisce influisce sul testo? C’è qualcosa che invece resiste allo spostamento nello spazio e nel tempo?
Come sempre tradurre significa prima di tutto scegliere fra soluzioni spesso di pari valore e intensità. Specie quando si traduce poesia. Spesso, non sempre, ricontestualizzo nell’Italia contemporanea la lingua di Sexton, convinta come sono che lei possa parlarci una lingua poeticamente attuale in Italia. Però altrettanto spesso ho preferito apporre note e lasciare i riferimenti al suo ambiente e al suo periodo storico. Nel caso di Trasformazioni, trattandosi di riscritture di fiabe da lungo tempo immesse nel canone letterario e nella cultura collettiva, pop, ho decisamente virato verso l’attualizzazione e la ricontestualizzazione ovunque fosse possibile, cioè dove non implicasse un allontanamento troppo arbitrario dal testo di partenza, e sì, soprattutto per mantenere alto il tono comico. Penso che la traduzione sia una scrittura seconda e quindi condannata all’invecchiamento, ma non sempre alla morte. Una bella traduzione, una traduzione profondamente empatica con la scrittura dell’autrice, può diventare – ce la metto tutta da trent’anni con Sexton – un testo che resta nella storia letteraria dell’italiano; un po’ come, mi si perdoni la megalomania, la traduzione dell’Odissea di Vincenzo Monti, superata ma memorabile. E la memorabilità in poesia ha un ruolo importante, specie se questa poesia, come la nostra di Anne Sexton, ha una forte propensione ‘teatrale’ (e non solo in Trasformazioni, almeno da Poesie d’amore, del 1969). Se non ci fosse alla base questa scelta, questa volontà, molto resisterebbe allo spostamento, più nello spazio che nel tempo, dalla lingua di una americana della metà del secolo scorso a quella di una italiana del 2024.
Prendi una donna che parla,
Anne Sexton
si purga con le rime,
tambureggia parole come una macchina da scrivere,
ti pianta dentro le sue parole come semi d’erba.

Si dice che tradurre sia un po’ come tradire la lingua di provenienza. Basandoti nei riferimenti alle Fiabe scelte da Calvino nella traduzione di Claudia Bovero (Einaudi, 1970), è come se in questo caso, più che un tradimento, avessi realizzato un maquillage. Tramite la traduzione la poesia si cambia d’abito oppure si verifica una vera e propria trasformazione della lingua?
Ho scelto di basarmi sulla traduzione delle Fiabe di Bovero per vari motivi. Perché è una donna che scrive-traduce negli anni Settanta, perché è la versione immortalata nei Classici Einaudi, cioè è un classico come le fiabe stesse dei Grimm, e perché è quella che ho avuto in casa sin dai mei studi universitari (molto impostati sull’antropologia culturale). Quindi non un maquillage, ma una parte del processo di riattualizzazione e memorabilità. Tuttavia in vari luoghi ho tradito Bovero per soluzioni più contemporanee, anche affidandomi ai guizzi dei miei amici e delle mie amiche scrittori/scrittrici. Cambiarsi d’abito è un gesto superficiale, tradurre deve significare trasformare la lingua d’arrivo. Così un traduttore è uno scrittore. Se il traduttore si limita a cambiare d’abito alla lingua farà, ben che vada, ma la vedo dura, una smorta traduzione di servizio.
Anne Sexton sceglie e realizza un genere, ma non si limita a percorrerlo in modo isolato, bensì ne esplora tutte le implicazioni: oltre a restituire alla poesia un carattere narrativo, la mette in dialogo con il teatro, adattando il testo in veste di libretto per un’opera da camera, rappresentata nel 1973. Nella nota alla traduzione, domandi al lettore: “Allora Transformations è un copione? Un testo teatrale? Un libretto d’opera?”. Dal tuo punto di vista di poetessa e interprete, quali sono i limiti della poesia e quando può definirsi totale?
Lo domando sia al lettore comune di poesia (che però in Italia coincide coi poeti), sia ai critici della poesia (che anch’essi, ahinoi, troppo spesso coincidono coi poeti), sia soprattutto a chi ancora fa questioni di lana caprina sulla differenza ontologica (inesistente) fra poesia da leggere con gli occhi e poesia da leggere ad alta voce, ovvero “performativa”, parola che vuol dire tutto e niente ai fatti testuali e scenici. Sexton era avanti anche da questo punto di vista. La sua poesia è piena zeppa di ‘oralità’ come quasi tutta la poesia da che mondo è mondo. Lo speech act poetico è un gesto scritto e vocale, e questo Anne lo ha sempre saputo, anticipando la beat generation, per fare solo un esempio americano. Siccome era anche una donna di scena in quegli anni, ovvero veniva pagata profumatamente per andare a leggere col suo gruppo soft rock “Anne Sexton and Her Kind” le sue poesie scritte, ecco il colpo di genio delle riscritture in chiave parodica prefemminista delle fiabe dei fratelli Grimm, il nostro inconscio collettivo, per sbatterlo in faccia ai benpensanti indossando il travestimento autobiografico che non era una maschera di lei ma dell’inconscio collettivo femminile di una bellissima strega cattiva, che apriva gli occhi, le orecchie e gli inconsci sofferenti della gente, divertendola, per di più, con una poesia meravigliosa.
Anne Sexton, Trasformazioni
Traduzione di Rosaria Lo Russo
La Nave di Teseo, 2024
Testo americano a fronte
Rosaria Lo Russo è nata a Firenze nel 1964, dove attualmente vive e lavora. Poeta, performer, traduttrice e saggista. È poeta secondo le molteplici declinazioni del termine. Si occupa di poesia e di teatro e dei rapporti fra le due arti, di drammaturgia, letteratura teatrale e letteratura comparata moderne e contemporanee. Si è laureata in Lettere Moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, discutendo una tesi in Storia dello Spettacolo dal titolo La protagonista di Pirandello. Miti, personaggi e ruoli, vincitrice nel 1992 del Premio Nazionale Luigi Pirandello bandito dal Centro Nazionale di Studi Pirandelliani di Agrigento. Le sue poesie sono state tradotte e pubblicate in inglese, francese, spagnolo, tedesco, giapponese, georgiano e cinese. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo: L’estro (Firenze, Cesati, 1987), Vrusciamundo (Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, 1994), Sanfredianina, in Poesia contemporanea. Quinto quaderno italiano (Milano, Crocetti, 1996), Comedia (Milano, Bompiani, 1998), Dimenticamiti Musa a me stessa (con sedici disegni di Renato Ranaldi, Prato, Edizioni Canopo, 1999), Melologhi (Modena, Emilio Mazzoli, I Premio Antonio Delfini 2001), Penelope (Napoli, Edizioni d’if, 2003), Lo Dittatore Amore. Melologhi (Milano, Effigie, 2004), Io e Anne. Confessional poems (Napoli, d’if, 2010), Crolli (Firenze, Le Lettere, 2012), Poema (1990/2000) (Arezzo, Zona, 2013), Nel nosocomio (Milano, Effigie, 2016), il libro con dvd Controlli (Monza, Millegru, 2016), Crolli (Roma, Dei Merangoli, 2016), Anatema (Pavia, Effigie, 2021) e Tande (Montecassino, Vydia, 2023).
Anne Sexton (1928-1974), nata Anne Grey Harvey a Newton, Massachusetts, inizia a scrivere poesie durante il collegio. A diciannove anni sposa Alfred Muller Sexton da cui ha due figlie. Affetta da disturbo bipolare, viene incoraggiata dal suo medico a recuperare l’interesse per la poesia e nell’autunno 1957 frequenta gruppi di scrittura a Boston incontrando autori come Maxine Kumin, Robert Lowell e Sylvia Plath. Negli anni sessanta pubblica i suoi primi libri, To Bedlam and Part Way Back (1960) e All My Pretty Ones (1962). Nel 1965 viene eletta Fellow della Royal Society of Literature a Londra e nel 1967 riceve il premio Pulitzer per la poesia per la sua terza raccolta, Live or Die. Ha pubblicato sette volumi di poesie, e quattro libri per bambini con Maxine Kumin, ricevendo numerosi riconoscimenti tra cui una Guggenheim Fellowship, il Shelley Memorial Prize, il Levinson Prize e la Frost Fellowship alla Bread Loaf Writers Conference. Ha insegnato alla Boston University e alla Colgate University. È morta suicida il 4 ottobre 1974. La nave di Teseo ha pubblicato nel 2021 la prima traduzione integrale di Il libro della follia.
