Saltare la testa | Elle D.

Non sei razzista. È solo che non ti piacciono i neri, chi mangia troppe spezie e chi ti ferma per strada dicendo di non aver mangiato. Hai provato a farteli piacere, ma niente. Non funziona. Sei salito sull’autobus, ti hanno consigliato di respirare con la bocca e ripensando all’antibiotico liquido che da bambino mandavi giù tappandoti il naso, hai risposto: «Signora, guardi che fa schifo uguale».

Triplice fischio | Paolo Cerruto


Nacqui terzo di nove fratelli, dopo la guerra. Mio padre raccontava la vastità del deserto libico, una vittoria degli inglesi, la cattura e la prigionia durata sei anni. Mamma l’aveva aspettato. La prima volta che ho conosciuto un inglese volevo tirargli un pugno, da parte di mio padre. Poi ho pensato che la colpa non è genetica e ho lasciato stare. Però non mangio fish and chips e disprezzo profondamente la regina Elisabetta e i Beatles.
Con i miei fratelli e i picciotti della vanella giocavamo a pallone in un campo pieno di pietre. Prima di ogni partita ne toglievamo sempre un po’ ma sembravano essere infinite. La terra era grossa e dura, la palla di stracci si sfaldava, le porte di legno cadevano a ogni tiro, era quasi impossibile giocare. A me non fregava niente, tanto arbitravo. Ho sempre fatto l’arbitro, per mia scelta, non so dirvi il motivo; volevo mettere ordine, regolare. Non è un’attitudine da sbirro mancato, come pensano tutti. L’arbitro non prende ordini da nessuno. È semplicemente Dio, per novanta minuti più recupero, decide chi e quanto punire, chi perdonare. Decide l’inizio e la fine.

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