Anna al Mercato Centrale

Si alza un grido d’acciaio postmoderno e steampunk. A lanciarlo è Spellbinder, la macchina, nella sua asessuata, pansessuale oggettività. Un meccanismo le cui grammatiche automatiche generano, distorcono e ristrutturano messaggi linguistici. Da quest’incontro post-umano tra poesia e macchina emerge un progetto: Madrigale. Una collezione di spoken word cibernetiche di cui il presente singolo, Anna al mercato centrale, si prefigura come crocevia di varie fiumane. La prima sono le voci poetiche dei tre autori, chiamati a interrogarsi sul tema della gentrificazione: un processo inarrestabile, che coinvolge non solo le periferie, ma anche zone cittadine di antica tradizione, sottoponendole ad una violenta “traduzione” nel linguaggio egemonico della mentalità dominante. La radici del mercato di Porta Palazzo, a Torino, sono dunque sommerse dall’orgia trimalcionica di merci che inondano le percezioni del privilegiato. È infatti un occhio profondo – non per forza e non sempre poetico – che coglie nella mitopoietica del progresso una zona d’ombra terribile, popolata da tristezza e cattiveria obbligata, il regno dei lasciati indietro che, inceppati nei denti del meccanismo, soffrono e arrancano in una povertà diluita ogni giorno. Questa visione è tuttavia decomposta e ricomposta attraverso la tecnica del cut-up, cosicché ciò che prima era un trittico a tema diventa un miscuglio omogeneo di voci. È la macchina che parla, è la macchina che riorganizza la struttura preesistente in una nuova. Come una proprietà emergente, viene a galla un nuovo testo che – a partire dalle voci originali – restituisce l’orrore collettivo di generazioni intere dimenticate dal “progresso” e, allo stesso tempo, l’urgenza del cambiamento. La bomba si profila dunque bifronte: è la ferita inferta dallo sviluppo economico alla micro-storia, ma è anche un’illusione, nell’incertezza costante tra spettacolo e verità. Il terzo ed ultimo livello del testo è la sua riformulazione in un differente sistema semiotico, ovvero la clip cinematografica che lo accompagna. Una resa visiva che tuttavia è subito contraffatta, straniata dalla citazione di Balestrini che la introduce: “Il più delle volte le immagini non servono a niente”.

(Lorenzo Lombardo)

Anna al Mercato Centrale

La fiducia piegata e riposta
nella merce brutta, pregiata,
spinta sul legno, è una lisca
– scialuppa sgraziata.

Da un’ora appena
la sua bocca non parla
da un lato all’altro della faccia
sta zitta, deforme, slabbrata.

“Io so di cos’hai bisogno
– tu aneli a un nuovo anelito di vita –
una nuova serpe che morda i polpacci
e che faccia scattare le membra:
fischia l’arbitro l’inizio partita!
– e tutti assistiamo, benché conosciamo
benissimo l’esito – ognuno a suo modo –
il gioco è truccato, non hai letto il copione?”

HANNO MESSO UNA BOMBA
AL MERCATO CENTRALE!
HANNO MESSO UNA BOMBA
AL MERCATO CENTRALE!

Anna fa la bocca linea
e se cammina storta
è per la fuga indotta
per la resa fulminea
dei muscoli ipotesi;

“Forse è meglio se ti metti in fila
e stai buono, con te ho appena iniziato.”
Fissa il muro fra le cataste di prodotti,
le zucchine i pomodori i ravanelli
e prova il nuovo ketchup biologico
sulla ferita aperta.

Anna rinviene una traccia,
solleva uno straccio,
solleva il diaframma:
questa cosa che freme
poco sopra a dove si mangia
– parlano le ricetrasmittenti
alle volanti, il polso tace,
un andirivieni di ambulanze
e di stampe.

“Il nostro è uno sporco lavoro
ma qualcuno lo deve pur fare”
dice la guardia con una voglia matta
di violazione dei diritti umani negl’occhi
“e poi insomma, se non consumi
che cazzo vivi a fare?”

AL MERCATO DEL NORD
PER DUE SOLDI
PORTA PALAZZO MIO PADRE COMPRÒ

E venne il capo
che aprì un locale
che cacciò l’arabo
che occupò la casa
vicino al banco
che al mercante
mio padre affittò!

Anna non guarda i colori,
lei guarda la stoffa.
Credeva all’arancia per terra,
all’anguria aperta
“l’unica buona da far assaggiare” diceva;
credeva, con tutta se stessa,
all’omuncolo grasso che strilla dal banco.

Questa cosa va capita
perché sussurra
e muove gli scacchi.
Questa cosa càpita,
va trattata a dovere,
pigiata nei sacchi
finché non la smette
d’estendersi, piana.

Dalla coperta isotermica
spuntavano un paio di gambe
– le scarpe rosse, allacciate.
Un grande fuoco si è preso
il suo altare di legno
e se non cammina
è perché adesso
qualcosa la tiene,
la indossa.

Sputava, sputava, sputava
tra i carri, la frutta e la piazza
l’odore di shisha e di menta,
lei aspetta la giusta marea
smuove l’orgia
dei panni ammassati
sfiora l’onda
che l’aria preme
a fatica
e non salpa.

Anna ne ha di stoffa,
da vendere.

Le casse amplificano il battito
al rallentatore – ecco, mi sto sbloccando
ma non sono pronta, non sono pronta,
non sono ancora pronta, cazzo!

Dice: il mio posto
è già questo
para qué necesito pies si tengo…”
dice con le mani,
con le mani ci si salva.

Devo prendere prima un altro pezzo
e metterlo sul nastro trasportatore
farmi spazio tra le occhiate e le risa,
le cascate di riso basmati e pepe rosa,
allora mi volto e tutti hanno un volto
fuori misura, il naso al posto dell’orecchio
e gli occhi sulla fronte, che ognuno di loro
scambia di volta in volta come pass-par-tout
ed io non ho che questa sola faccia
insieme a quella di riserva in dotazione
per le occasioni speciali.

Ci si salva con le mani
frugando, frugando ci si salva.
Si tira su qualcosa: si annaspa.
Adesso chiede decisa:
“dove mi porta?”
– nessuno la ascolta.

Ma questa è un’impostura
dentro l’impostura: è una matrioska
e tu hai bisogno di un nuovo soggetto
– un nuovo osso da succhiare.

Anna non vede i colori:
lei sente la stoffa,
fruga i morsi del vento.
Sulla sua testa un foro largo
si apre, ne esce il sangue.

HANNO MESSO UNA BOMBA
AL MERCATO CENTRALE!
HANNO MESSO UNA BOMBA
AL MERCATO CENTRALE!

poi – mi guardo attorno, le macchine
dell’aria condizionata sono guaste,
tutti questi prodotti stanno marcendo
e i clienti qui dentro stanno sudando,
il volto cubista di prima ora è un volto
espressionista dissolto, allora vorrei solo
rompere il vetro della porta scorrevole
e fuggire lontano con il maltolto

ma devo ancora attendere
– devo ancora aspettare
che venga il mio turno
che venga il mio turno
che venga il mio turno di uscire a fumare.

Testo: Davide Galipò, Elena Cappai Bonanni, Chiara De Cillis
Voce: Chiara De Cillis
Musica e arrangiamento: Ilaria Lemmo
Registrato e mixato da Davide Bava per Radiobluenote


S p e l l b i n d e r – dall’inglese, “incantatori” – è una macchina di spoken word music progettata a Torino nel 2019 d. C. Produce elaborazioni di suoni e parole che non hanno ancora trovato un alibi nelle conformazioni di genere, nelle convenzioni, nel calcolo e nei compromessi degli adulti. A n n a a l M e r c a t o C e n t r a l e è la prima elaborazione visiva e sonora del progetto, inclusa nell’album in uscita, M a d r i g a l e. Il testo è frutto di un cut-up tra gli stili e le forme di Davide Galipò, Elena Cappai Bonanni e Chiara De Cillis, che ha donato la voce per il brano. Gli ambienti sonori sono stati realizzati da Ilaria Lemmo, chitarrista e compositrice per il teatro attiva, tra gli altri, nel progetto Saudade Saudade.

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