dalle imposte socchiuse smagliature dβombra nella stanza spigoli di luce e linee azzurre sulla carne troppo pallida
sento il suo torace gonfiarsi poi sgonfiarsi lentamente in un espiro caldo di bestia in letargo il suo sesso che per tensione somiglia tanto alla sua mano
io mi attorciglio come una serpe mi torco cerco il punto concentrico di quel disordine atmosferico che io chiamo βil pulviscolo di Venereβ
– ma ci pensi a tutte le volte che con la lingua ti ho portato via il sonno dagli occhi
a terra in pace riposano sigarette accartocciate sul parquet camposanto della sera prima pilastro di una pigrizia che Γ¨ esserci assopito ma essenziale
siamo qui da non sappiamo quanto tempo come le querce gemelle del parco di Villa Reale
eppure non hai anche tu lβimpressione che a nutrirti sia ancora il sale?